Denis Bergamini in azione con il Cosenza
3 minuti per la letturaCOSENZA – «Avrebbe avuto un ingaggio principesco, in una squadra costruita per andare in serie A e, per giunta, a due passi da casa sua. Una prospettiva molto allettante per chiunque, no?». Giovanbattista Pastorello è ancora oggi incredulo quando torna con la memoria all’estate del 1989, al giorno del gran rifiuto di Donato Bergamini. Era lui il direttore sportivo del Parma, la squadra allenata da Nevio Scala che proprio quell’anno inaugura il ciclo che, da lì a poco, la proietterà ai vertici del calcio europeo. Pastorello era l’uomo incaricato di costruire l’organico di quella squadra e, in cima alla sua lista, c’era proprio l’acquisto di Bergamini.
«Era una trattativa chiusa, il calciatore aveva accettato ed era felicissimo di giocare per noi. Poi, nel giro di pochi minuti cambiò idea. Pensi che anche il mio presidente, Ernesto Ceresini, ci restò malissimo». Proprio in extremis Denis sceglie di restare a Cosenza e nel contesto degli eventi che da lì a pochi mesi culmineranno nella tragedia di Roseto, quello del mancato trasferimento al Parma rappresenta ancora oggi uno dei capitoli più oscuri.
«È rimasto giù per lei» ipotizzava il portiere Luigi Simoni in una conversazione intercettata, laddove per lei s’intende Isabella Internò, ma per gli inquirenti che hanno lavorato al caso è una spiegazione inaccettabile, che mette in crisi la rappresentazione di un Bergamini ormai disinnamorato della sua ex e già proteso a sposare un’altra donna.
Non a caso, la polizia giudiziaria individua ben altre ragioni per cui il calciatore avrebbe deciso di restare in Calabria: «Era reduce da un infortunio, altrove avrebbe dovuto conquistarsi il posto mentre a Cosenza era certo di essere titolare», ma è un assunto che Pastorello respinge con forza. Era lui che sceglieva i giocatori – «In sette anni Nevio Scala non mi ha mai suggerito un acquisto» – e Denis non faceva eccezione alla regola: «Cercavamo un giocatore con le sue caratteristiche. Era centrale nel progetto e lui ne era consapevole».
Altro che infortunio insomma, ma tant’è: nell’elenco degli oltre duecento testimoni arruolati dalla Procura di Castrovillari non figura l’ex direttore sportivo del Parma. La sua testimonianza non entrerà nel processo, dunque, e quasi quasi se ne intuisce anche il motivo. E a proposito di testimoni: un’amica di penna del 1987, il medico sociale della squadra, una prof conosciuta in piscina, il suo procuratore dell’epoca e l’ex fidanzata del suo miglior amico.
Sono questi i testimoni che coloreranno le due udienze del processo in programma oggi e domani in Corte d’assise. Testimonianze minori – a eccezione di quella di Bruno Carpeggiani, il procuratore – segno evidente di come la Procura continui a girarci intorno, rimandando l’appuntamento clou con i consulenti medico-legali e, soprattutto, con il camionista Raffaele Pisano. È lui, infatti, il principale teste del processo, depositario della verità sui fatti del 18 novembre 1989, ma per sentirlo in aula è probabile che bisognerà attendere ancora mesi, forse anni. Non a caso, il pm Luca Primicerio pare intenzionato a esplorare prima la personalità del calciatore attraverso i racconti di amici, compagni e conoscenti che, messi insieme, rappresentano almeno due terzi dei testimoni in scaletta.
Racconti marginali rispetto all’economia del processo che mira a dimostrare la tesi dell’omicidio, ma che la pubblica accusa ha scelto di mettere in primo piano con buona pace dell’ultraottantenne Pisano relegato ancora in panchina. Una lunga fase interlocutoria, dunque, che si protrae ormai da ben dodici udienze e che si prolungherà nelle prossime 48 ore.
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