Il relitto della Heaven
4 minuti per la letturaCROTONE – Naufragio colposo e cooperazione in omicidio colposo plurimo. Sono le accuse contro i quattro “eroi”, come erano stati ribattezzati dalle cronache i finanzieri della Sezione operativa navale di Crotone intervenuti per soccorrere una ventina di profughi sul veliero su cui si era appena verificata un’esplosione e che ora si ritrovano inquisiti, e rischiano condanne pesanti, per la tragedia al largo di Praialonga.
Perché quella drammatica domenica di agosto 2020 la deflagrazione e il conseguente affondamento dell’imbarcazione “Heaven” determinarono la morte di quattro migranti. Il pm Pasquale Festa ha fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti del capitano Vincenzo Barbangelo, in qualità di comandante della Sezione operativa navale e coordinatore delle operazioni di polizia giudiziaria; del maresciallo Andrea Novelli, comandante della motovedetta intervenuta al largo di Simeri Crichi; dell’appuntato scelto Maurizio Giunta, che assunse il comando della “Heaven”; del finanziere Giovanni Frisella, salito sulla “Heaven” con la qualifica di motorista.
Secondo l’accusa, Barbangelo e Novelli, ai quali è anche contestata l’aggravante di aver agito con la previsione dell’evento, avrebbero ordinato a Giunta e Frisella, «privi delle abilitazioni per il comando di imbarcazioni», di salire a bordo della Heaven, «ancorata alla fonda in condizioni di sicurezza a circa 150 metri dalla costa e progettata per trasportare un numero di passeggeri non superiore a dieci», e di «salpare l’ancora e intraprendere la navigazione con a bordo 20 migranti anziché preventivamente sbarcare gli occupanti ovvero trasbordare gli stessi su altra e più sicura imbarcazione».
Inoltre, i comandanti avrebbero ordinato di proseguire la rotta «verso il più lontano porto di Crotone pur in assenza delle condizioni di sicurezza in ragione della presenza eccedente del numero di passeggeri e di taniche di carburante sottocoperta nonché della mancanza di dispositivi di protezione (cinture di salvataggio) per tutti i passeggeri pur potendo alternativamente dirigere l’imbarcazione verso il più vicino porto di Catanzaro Lido». I quattro sono accusati di non aver attivato la procedura Sar nonostante l’imbarcazione fosse in avaria. Giunta e Frisella devono rispondere anche di non aver allontanato le taniche dalle fonti di accensione.
La giustizia non bada a spese se ci sono “eroi” da processare. Dopo i circa 300mila euro necessari per recuperare il relitto, un fitto mensile di 7mila euro è stato versato alla ditta Omi Sud per la custodia di ciò che restava dell’imbarcazione su cui si erano avventurati i migranti, quattro dei quali morti in seguito a un’esplosione sulle cui cause i periti del gip, ai quali si sono rifatti quelli del pm, non sono stati in grado di dire nulla, tanto deformato è ciò che resta della bagnarola, di cui ora è stata chiesta la distruzione. Questo sarebbe emerso da un incidente probatorio, il secondo, dopo che già una parentesi processuale era stata aperta per acquisire le testimonianze di alcuni migranti.
La tragica vicenda balzò all’attenzione delle cronache nazionali anche per il gesto eroico dei militari gettatisi in acqua per salvare vite. Giunta e Frisella finirono pure in ospedale. Giunta è quello che, con una gamba rotta su una barca in fiamme, si prodigò per lanciare quanta più gente possibile in acqua perché tanti avevano paura. In acqua si buttò anche Frisella, che con un piede fratturato afferrò un migrante che non sapeva nuotare. Ma si tuffò anche il maresciallo Novelli, che, a dispetto del grado, vedendo un collega in difficoltà lo salvò e salvò quante piu vite possibili in quel drammatico frangente. Tutti indagati. Indagato perfino il loro comandante, il capitano Barbangelo, che non era sul posto e, fra l’altro, recependo le direttive della sua gerarchia, ordinò ai suoi uomini di intervenire per scortare l’imbarcazione. Li difendono gli avvocati Pasquale Carolei, Emiliano D’Alessandro e Filly Pollinzi che hanno sempre obiettato, tra l’altro, che il porto di Catanzaro Lido non è mai stato preso in considerazione come rifugio in nessuna operazione di soccorso in mare o di polizia giudiziaria, almeno nel triennio 2018-2020.
Perché, tra l’altro, è un approdo «poco attrezzato e di problematica praticabilità», come risulta dall’ordinanza 10/2020 dell’Ufficio circondariale marittimo di Soverato, e perché la rotta verso Crotone sarebbe avvenuta col mare a favore e in una zona protetta della costa. Eppure, secondo la Procura, là avrebbero dovuto dirigersi, anche se Giunta e Frisella – come è detto nel capo d’accusa – sono privi di abilitazioni al comando. Sempre secondo l’accusa, la tragedia era evitabile. Nonostante non sia stato possibile accertare le cause dell’innesco fatale.
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