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La Cassazione ha confermato la sanzione di due mesi di sospensione dall’attività per due avvocati del Foro di Lamezia Terme per violazione del codice deontologico


LAMEZIA TERME (CATANZARO) – La Cassazione ha confermato la sanzione disciplinare di due mesi di sospensione dall’attività di avvocato per violazione del codice deontologico, nei confronti di due avvocati del foro di Lamezia Terme. La sospensione era stata disposta dal Consiglio nazionale forense che aveva accolto il ricorso del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lamezia Terme. I due professionisti avevano presentato ricorso in Cassazione. La Corte a maggio scorso aveva sospeso l’esecutività del provvedimento in attesa del giudizio di merito per cui i due avevano potuto riprendere l’attività forense.

Ora la Cassazione ha confermato la sospensione rigettando il ricorso degli avvocati. Ai due è contestata una vicenda sfociata in un procedimento penale poi estinto per prescrizione. In particolare, avrebbero approfittato della condizione di parziale incapacità di intendere e di volere della proprietaria dell’appartamento che avevano in fitto per lo studio legale.

LAMEZIA, LA CASSAZIONE CONFERMA LA SOSPENSIONE: LE ACCUSE AGLI AVVOCATI

Secondo le accuse, avrebbero indotto la proprietaria a cedere loro l’appartamento in fitto, attraverso – ha sostenuto l’accusa – raggiri consistiti nell’aver fatto credere si trattasse di pratiche successorie relative alla morte della madre. La proprietaria si sarebbe presentata presso lo studio dei due avvocati per chiedere un aiuto economico essendo in difficoltà e non potendo far fronte alle spese del funerale. I due avvocati si sarebbero dichiarati disponibili a pagare. E lo avrebbero fatto, impegnandosi anche a fare la denuncia di successione portandola con loro in uno studio notarile dove sarebbe stato rogato l’atto prima di ferragosto del 2010 senza che la stessa se ne rendesse conto. La donna ha presentato poi una denuncia/querela solo dopo, quando alcuni suoi parenti avrebbero accertato che quell’appartamento sarebbe risultato intestato ai due avvocati un anno dopo il rogito notarile e si sarebbero rifiutati di pagare il fitto.

LA DENUNCIA DELLA DONNA

Nella denuncia/querela, la proprietaria rilevava che dall’agosto 2010 e fino all’estate 2011, gli avvocati avevano regolarmente continuato a pagarle il fitto dell’appartamento. Riferiva, quindi, che il suo legale le aveva spiegato che la condotta degli avvocati avrebbe potuto avere la finalità di non farle rendere conto che aveva venduto l’appartamento oggetto del contratto di compravendita, per far decorrere il termine annuale per la proposizione dell’azione di rescissione. Ribadiva che essa non si era, comunque, resa conto, anche per la sua condizione psicologica che si era aggravata, di aver venduto l’appartamento. E di aver preso atto di detta vendita solo nell’estate del 2012, dopo l’intervento in suoi aiuto di due cugini.

Nella denuncia/querela sosteneva, inoltre, che la condotta degli avvocati si era concretizzata nell’aver abusato dei bisogni, delle passioni e dell’inesperienza di una persona in stato di infermità o di deficienza psichica per indurla a compiere un atto dannoso al fine di procurarsi un ingiusto profitto, ovverossia l’acquisto senza corrispettivo di un appartamento del valore commerciale di 300.000 euro.

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