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L’editoriale della rivista The Lancet sul sistema italiano “regionalizzato”: Poca ricerca e inefficienze, rischi maggiori con la legge Calderoli; la sanità in mano alle regioni alimenta le disuguaglianze. Molti gli esempi calabresi
COSENZA – La rivista The Lancet tira le orecchie al sistema sanitario italiano, alla sua frammentazione regionale e al rischio di ulteriori divisioni con l’avvio dell’autonomia differenziata. Nell’editoriale di Pooja Jha, direttrice di Lancet Regional Health—Europe, si inizia puntando il dito sul sistema di gestione dei dati nel sistema sanitario regionalizzato italiano. «Una delle debolezze più grandi – si legge – è l’infrastruttura di dati sanitari frammentata. Non esiste un sistema unificato, centralizzato per documentare e condividere registri salute, dati ospedalieri e registri dei medici di medicina generale».
La causa regina, secondo l’autorevole rivista scientifica, è proprio il sistema delle regioni che operano «in maniera indipendente implementando tecnologie differenti. Creando inefficienze». Esempi tutti calabresi potrebbero essere i tempi biblici per implementare una minima parte del fascicolo sanitario elettronico, la totale assenza di dati epidemiologici sullo sviluppo dell’influenza, l’assenza di registri tumori aggiornati. In questo ultimo caso vale la pena ricordare come in Calabria soltanto le Asp di Cosenza e Crotone utilizzano un software regionale che ha mostrato «criticità legate all’utilizzabilità e funzionalità oltre che nella disponibilità dei flussi informativi, rendendo tale registro, seppure già accreditato, non più in grado di produrre dati con continuità ed efficienza», scriveva la Regione. Le altre Asp, invece, usano sistemi diversi e non conciliabili.
Un esempio classico che, secondo The Lancet, in epoca Covid si è palesato in tutte le sue fragilità. «Molti ospedali – si legge – continuano a basarsi su sistemi vecchi e incompatibili, rendendo il trasferimento di dati “a mano” faticosi persino nella stessa regione». La questione «ha esacerbato le disparità».
Uno dei problemi principali è la fuga di pazienti in strutture del nord, mentre quelle in piano di rientro (Calabria per prima) rimangono maglie nere. Una fuga con doppie conseguenze: da una parte l’assenza di strutture al Sud, dall’altra l’assenza di strumenti per trasferire i dati. E spesso i pazienti che entrano negli ospedali del nord vengono presi in carico senza avere accesso alla storia medica. Questo si traduce in una duplicazione di test e tempi di cura più lunghi. La questione pesa circa 3.3 miliardi di euro.
Ma se da una parte ci sono i pazienti, dall’altra c’è da fare i conti con una ricerca non più all’altezza. «Senza una piattaforma centralizzata – si legge – i ricercatori devono rivolgersi ai comitati etica e privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una sostanziale giustificazione scientifica». E il dato è già pesante: la percentuale di studi di alto livello autorizzati è calata del 15% dal 2009.
In un contesto dove solo il 42% delle strutture ha un sistema informatico per tutti i dipartimenti si innesta anche il progetto dell’autonomia differenziata. Una riforma di nuova proposta minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. «La legge, se approvata, decentralizzerà ulteriormente la governance sanitaria, inasprendo le disparità tra le regioni invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzata dei dati. L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per istituire una rete di dati sanitari unificata. Questo approccio supporterà l’interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. L’incapacità di agire approfondirà le disuguaglianze, ritarderà i trattamenti e ostacolerà i progressi».
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