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Raffaele Fitto e Giorgia Meloni

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Con lo sbarco di Fitto in Europa e la situazione di Santanché sempre più in bilico è arrivato il momento per il governo Meloni di ragionare su un rimpasto


È arrivato il momento del rimpasto. Giorgia Meloni è costretta a introdurre questo nuovo vocabolo nel dizionario della destra italiana di ultima generazione. Non avrebbe mai voluto pronunciare quella parola che rimanda a un modus operandi della Prima Repubblica. Perché l’immagine all’esterno viene scalfita e, soprattutto, «una volta aperto il vaso di Pandora può succedere qualsiasi cosa».

Ai primi del mese di dicembre Raffaele Fitto rassegnerà le dimissioni da ministro degli Affari europei. Lo farà subito dopo il voto del Parlamento di Strasburgo al bis di Ursula von der Leyen. Meloni è abituata ad affrontare le questioni una volta che si presentano. Fitto prenderà parte all’ultimo Consiglio dei ministri che si terrà lunedì, dopodiché saluterà i colleghi ed entrerà a pieno titolo nel ruolo di vicepresidente della Commissione europea.

NEL GOVERNO MELONI SI AFFACCIA LA PAROLA IMPRONUNCIABILE: RIMPASTO

Deleghe pesanti, quelle che lascerà sul tavolo l’ex democristiano: Pnrr, Sud, politiche di coesione e Affari comunitari.
Un affaire, quello della successione di Raffaele Fitto, che si intreccia con l’inchiesta giudiziaria che coinvolge la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, anche perché fra qualche giorno è prevista l’udienza a Milano che potrebbe portare al rinvio a giudizio per falso in bilancio nella vicenda Visibilia.
Ecco perché si riaffaccia la parola impronunciabile: rimpasto. Certo, Meloni potrebbe decidere di prendere altro tempo e affrontare la questione tra Natale e Capodanno. Una sorta di verifica che coinvolgerebbe altri dicasteri.

BLACK LIST E CANDIDATURE

I ministri attualmente inseriti nella black list sono diversi. In queste settimane è emersa una squadra di governo che spesso e volentieri si esibisce in uscite fuori dal registro istituzionale. L’ultimo a sollevare un polverone è stato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Ma la lista degli attenzionati è lunga.
Un rimpasto vero e proprio significa sedersi al tavolo con i due vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, e provare a ragionare sul da farsi, tentando di incastrare il tutto con le problematiche legate alle elezioni regionali del 2025.

Le deleghe di Fitto potrebbero, per esempio, essere affidate a uno dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, ovvero a Giovanbattista Fazzolari o Alfredo Mantovano. Oppure a un nome di peso come Maurizio Leo, oggi viceministro dell’Economia con la delega del Fisco. Altri candidati potrebbero essere Marco Osnato, attualmente presidente della commissione Finanze, o il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. Senza dimenticare quella che a Palazzo Chigi viene definita la soluzione preferita: una tecnica come Elisabetta Belloni che darebbe un ulteriore standing alla compagine di governo.

Un gioco pericoloso che si intreccia con gli appetiti degli alleati. Forza Italia, per dire, ha ormai lo scettro di secondo partito della maggioranza. Rappresenta il mondo moderato e ha un peso specifico consistente in Europa con il Ppe.
Non è assolutamente un caso se la vicesegretaria azzurra, Debora Bergamini, ha utilizzato queste parole: «La nomina di Raffaele Fitto a commissario europeo è un successo di cui ha merito Antonio Tajani».
Nel palazzo c’è chi sostiene che gli azzurri potrebbero richiedere a Meloni una delle deleghe di Fitto, e avrebbero già un profilo da mettere sul tavolo: l’europarlamentare Letizia Moratti, già ministra, già presidente della Rai, una figura riconosciuta anche a Bruxelles e Strasburgo.

RIMPASTO GOVERNO, LA PARTITA RISCHIOSA TRA GIORGIA MELONI E GLI ALLEATI

È evidente che in tutto questo Giorgia Meloni se la dovrà vedere con Matteo Salvini. Il vicepremier e leader della Lega non intende assolutamente cedere il Veneto. Se non sarà Luca Zaia, per il limite del terzo mandato, dovrà essere comunque un leghista, è la tesi del numero uno di via Bellerio.
Tra i papabili ci sono sicuramente Mario Conte, l’attuale sindaco di Treviso, e Alberto Stefani, segretario regionale della Lega Veneto. Senza dimenticare Forza Italia che proprio in Veneto rivendica la poltrona per Flavio Tosi.

Ecco, quindi, che il rimpasto potrebbe essere più complicato del previsto. Ridiscutere tutte le caselle non è uno scenario pensabile, perché finirebbe per rallentare l’azione di governo. Ma un ritocco sì. Intervenire su quattro-cinque ministeri può essere un’operazione che potrebbe ridare una spinta all’Esecutivo.
In queste ore Meloni studia il timing per un ritocco alla squadra di governo. Si diceva tra Natale e Capodanno, perché in quei giorni i riflettori si spengono e le famiglie sono tutte concentrate a tagliare il panettone e il pandoro. Potrebbe così servirsi della conferenza stampa di fine anno per annunciare le modifiche. Oppure aspettare l’inizio dell’anno nuovo per mettere mano alla faccenda.

La questione è complicata. Salvini reclama il ministero del Turismo per un leghista, come Massimo Garavaglia e Gian Marco Centinaio. Caselle cui è interessata anche Forza Italia. Grande caos si prefigura all’orizzonte. Meloni avrà quest’arduo compito. A meno che non voglia ancora una volta rimandare a data da destinare.
Anche perché un rimpasto – con quattro/cinque ministri da sostituire – significa salire al Colle e presentarsi alle Camere per il voto di fiducia. Eppure questa volta sembra quasi naturale che si vada nella direzione del rimpasto. Ma non chiamatelo così, ripete la premier. Può andare verifica o è preferibile tagliando? Si vedrà.


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