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Roma, 26 dic. (askanews) – Le indagini fiscali sui conti correnti vanno a vuoto: in 13 anni i controlli svolti dall’amministrazione finanziaria sui rapporti bancari dei contribuenti italiani sono stati meno di 100mila (84.155) e hanno consentito di individuare appena 7,2 miliardi euro di tasse non pagate. Dal 2010 al 2022, in media, si tratta di circa 6.500 controlli l’anno, ciascuno dei quali ha portato alla luce una maggiore imposta accertata per 86mila euro. L’anno con il maggior numero di verifiche è il 2013 con 12.069 controlli effettuati, mentre il dato più basso (1.691) si riscontra nel 2021; mentre l’anno con l’evasione maggiore scovata è il 2012, con 1 miliardo e 201 milioni (il “bottino” più magro, 115 milioni” nel 2020, segnato dal Covid). Lo rileva un documento del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale, considerando che il valore annuo complessivo dell’evasione fiscale si aggira attorno ai 100 miliardi di euro, le indagini bancarie consentono di accertare, nella migliore delle ipotesi, una quota di gettito nascosto di poco superiore all’1% del totale.
«Lo Stato, con i controlli sui conti correnti bancari, negli scorsi rilanciati dai vertici dell’amministrazione finanziaria, non ottiene granché se non il doppio risultato di spaventare i contribuenti e di rendere ancora più complessa la gestione burocratica delle attività d’impresa» commenta in una nota il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo un report del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dai dell’agenzia delle Entrate, dal 2010 al 2022, i controlli dell’amministrazione finanziaria su conti correnti bancari dei contribuenti italiani sono stati complessivamente 84.155: in totale, nei 13 anni in esame, le verifiche hanno consentito di accertare maggiore imposta per 7 miliardi e 245 milioni. In media, si tratta di circa 6.500 controlli l’anno, ciascuno dei quali ha consentito di portare alla luce denaro sottratto al fisco per 86mila euro. Nel 2010, i controlli sui rapporti bancari sono stati 9.371 e hanno fatto emergere 866 milioni di evasione (92mila euro in media per ciascuna verifica); nel 2011, le verifiche sono state 10.869 e hanno portato alla luce 1 miliardo e 129 milioni (104mila euro in media); nel 2012, si sono registrati 11.872 accertamenti grazie ai quali è emerso gettito nascosto per 1 miliardo e 201 milioni (101mila euro in media); nel 2013, anno record, i controlli fiscali in banca sono stati 12.069 e hanno portato alla luce 1 miliardo e 134 milioni di imposta non versate regolarmente (94mila euro in media); nel 2014, le verifiche, calate a quota 11.460, hanno accertato imposta non pagata per 1 miliardo e 78 milioni (94mila euro in media).
Successivamente, i numeri sono nettamente calati: nel 2015 le verifiche sono state dimezzate, fermandosi a 5.425, con l’evasione accertata pari a 409 milioni di euro (75mila euro in media); nel 2016, un ulteriore dimezzamento a quota 2.773, con il denaro sottratto al fisco pari a 178 milioni (64mila euro in media); nel 2017, il contatore delle verifiche è calato ancora a 2.393 e il totale del gettito nascosto si è fermato a 213 milioni (89mila euro in media); nel 2018, le verifiche, lievemente risalite a quota 4.539, hanno portato alla luce 239 milioni (53mila euro in media, la più bassa nella serie storica); nel 2019, il controlli sono ancora aumentati a quota 6.337 e hanno fatto emergere tasse non versate nelle casse dello Stato per 355 milioni (56mila euro in media). Con il Covid si è registrata una “svolta” negativa: nel 2020, i controlli sui conti correnti bancari sono calati a 1.712 e hanno portato a galla evasione per 115 milioni (il dato più basso) pari a una media di 67mila euro. Nel 2021, i controlli hanno raggiunto la soglia minima: 1.691 verifiche e 119 milioni accertati (70mila euro in media). Nel 2022, un leggero aumento: 3.643 controlli e 209 milioni accertati (57mila euro).
Rispetto al totale dell’evasione fiscale, pari a circa 100 miliardi di euro l’anno, i controlli sui conti correnti bancari consentono di individuare una percentuale di tasse non pagate molto contenuta: nella migliore delle ipotesi, si va leggermente sopra quota 1%, con la media che è pari a circa lo 0,6%. «I numeri non mentono mai: c’è da chiedersi, pertanto, quali vantaggi produca la gigantesca macchina da guerra fiscale messa in piedi più di 10 anni fa che è stata usata a singhiozzo e, nella sua lunga sperimentazione, si è rivelata un clamoroso buco nell’acqua. I numeri dimostrano il fallimento di un’idea sbagliata sin dalle origini» osserva il presidente di Unimpresa.
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