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Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza

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COSENZA – «Con riferimento alla sentenza della Sezione regionale della Calabria della Corte dei conti n. 72, depositata il 2 marzo 2020, comunico che avverso questa sentenza presenterò ricorso alle Sezioni centrali giurisdizionali della Corte dei conti. Tale intenzione mi è stata espressa anche dalle altre persone destinatarie della stessa pronunzia».

Lo afferma il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto all’indomani della diffusione delle motivazioni contenute nella sentenza della sezione regionale della magistratura contabile (LEGGI LA NOTIZIA).

Le ragioni del sindaco di Cosenza saranno rappresentate, nel ricorso, dall’avvocato Benedetto Carratelli cui il primo cittadino ha conferito apposito incarico. «Due sono gli aspetti che coinvolgono la mia persona – sottolinea Occhiuto – il primo è legato alla circostanza che il Capo di Gabinetto dell’epoca, Carmine Potestio, firmò nei primi anni della precedente consiliatura, 2011-2015, alcune determine per provvedere ad alcune spese comunali. Ebbene, mi si chiede ora di rimborsare, per questo motivo, tutti gli stipendi percepiti, in qualità di Capo di Gabinetto, da Potestio, solo perché nei primi anni del suo incarico egli firmò, in perfetta buona fede, anche tali atti di spesa. La Corte dei conti non contesta la sostanza delle spese effettuate con le predette determine, per le quali è dunque fuor di dubbio che abbiano avuto ad oggetto spese utili per il Comune di Cosenza. Pertanto, se i medesimi atti amministrativi fossero stati sottoscritti da un altro dirigente dell’ente, nulla vi sarebbe stato da eccepire da parte del gGiudice contabile. In secondo luogo, non viene presa in considerazione alcuna la circostanza che Potestio, nel suo periodo di lavoro presso il Comune di Cosenza, ha svolto egregiamente, con quotidiano, intensissimo impegno, senza badare ad orari, il suo difficile ruolo di Capo di Gabinetto di un Comune capoluogo di provincia. Una mole di lavoro, nota a chiunque abbia avuto rapporti con il Comune di Cosenza in quegli anni, è divenuta irrilevante, come se, viceversa, Potestio avesse passato tutto il tempo solo a scrivere quelle determine, peraltro di legittimo contenuto».

«Il secondo aspetto – aggiunge Mario Occhiuto – che mi vede coinvolto assieme ad alcuni ottimi componenti della Giunta comunale dell’epoca e a validi ex dirigenti dell’Ente – è legato al conferimento, nel 2015, di alcuni incarichi di collaboratore del sindaco. Secondo la Corte dei conti calabrese, anche nei comuni che avevano approvato un piano di riequilibrio finanziario ai sensi del Testo unico (tra i quali si trovava il Comune di Cosenza), non si potevano assumere tali collaboratori a tempo determinato. Invito però chiunque a leggere il predetto articolo di legge: esso prevede che agli uffici di supporto agli organi di direzione politica possano essere chiamati anche “collaboratori assunti con contratto a tempo determinato”, “salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitarii”. Si tratta di due tipologie di comuni disciplinati da norme diverse del Testo unico degli Enti locali. Tra i primi si trova oggi il Comune di Cosenza, ma solo a far data dall’11 novembre 2019; i secondi sono individuati, ai sensi dell’art. 242 del TUEL, in base a parametri stabiliti dal Ministero dell’Interno e neppure tra essi rientrava il Comune di Cosenza. Infatti è la stessa Corte dei conti regionale – nella sintesi che tutti possono leggere della sentenza in esame, pubblicata sul sito internet istituzionale di tale Giudice contabile – che nota come “il divieto per gli enti locali di assumere collaboratori esterni”, sia “normativamente previsto” solo “per gli enti in dissesto e per quelli strutturalmente deficitari”. È solo adesso, dal 2 marzo 2020 e non prima, che la Corte dei conti calabrese – unica in tutta Italia – viene ad interpretare ex post tale divieto quale da applicarsi anche agli enti “che abbiano avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”, tra i quali vi era il Comune di Cosenza all’epoca dei fatti».

«Quale colpa può allora addebitarsi ad un sindaco – dice Occhiuto – o a un assessore comunale, assieme all’apparato burocratico, per aver rispettato il dato testuale della normativa vigente, come tale applicato anche dal Ministero dell’Interno? Può egli essere così censurato per non aver “intuito” che, dopo cinque anni, un Giudice di primo grado avrebbe forse potuto interpretare che – per ragioni da esso ritenute “di opportunità” – il suddetto divieto andava esteso anche alla diversa situazione in cui si trovava il Comune di Cosenza, non contemplata dalla norma di legge?»

«Con quale serenità – si chiede Occhiuto – un amministratore locale può operare, se la legge non è più quella scritta, ma quella pensata a posteriori, dopo cinque anni, da un Collegio giudicante? Per le suddette e per tante altre ragioni più di dettaglio, auspico e sono fiducioso che la Corte dei conti di Roma saprà dimostrare che l’alto ruolo del Giudice contabile è quello di aiutare la Pubblica Amministrazione a non sbagliare nell’applicazione delle leggi, democraticamente approvate, e non quello di condannare a posteriori chi nel dato oggettivo e testuale della legge ha posto, in perfetta coscienza, affidamento. E, soprattutto, chi non ha avuto alcun vantaggio personale dagli incarichi di lavoro a tempo determinato di che trattasi, ma ha solo inteso rinforzare per questa via l’apparato burocratico, al fine di meglio perseguire le finalità di interesse pubblico del Comune di Cosenza».

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