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Nei corridoi delle case di riposo lombarde da ieri non si aggirano solo medici e infermieri. Indossano le mascherine e i guanti ma sotto le tute di protezione hanno la divisa dei carabinieri. Reparto Nas. Ispezioni a tappeto, controllo dei locali e dei registri. La motivazione ufficiale è il rispetto delle normative igienico-sanitarie, l’attuazione delle disposizioni per prevenire il contagio da Coronavirus. In realtà, si cerca anche e soprattutto qualcos’altro: la prova degli errori commessi per ottemperare alle dispositive che nei giorni più caldi del contagio arrivavano dalla Regione.
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IL BLITZ DELLA FINANZA
Un vero e proprio blitz della Guardia di Finanza è scattato al Pio Albergo Trivulzio per acquisire documenti utili alle indagini. Si cercano le direttive ricevute dalla struttura e firmate dagli amministratori locali. Ci sarebbero – il condizionale però è d’obbligo – già le prime ammissioni.
IL RISCHIO DI PERDERE GLI ACCREDITAMENTI
Dietro l’accettazione di decine e decine di pazienti positivi al Codiv-19 non ci sarebbe stato solo il mero interesse economico, i rimborsi della Regione per ogni posto-letto occupato in regime di convenzione. Ma molto di più: il rischio di perdere gli accreditamenti. Che per molte strutture avrebbe significato chiudere. Testimonianze che nei prossimi giorni verranno acquisite in forma ufficiale e che, se confermate, gettano una nuova luce sull’inchiesta condotta dalle procure lombarde.
I controlli sono partiti a Milano, Monza, Como e Varese e Bergamo, dove nell’arco di cinque giorni sono state ispezionate ben 15 residenze per l’assistenza agli anziani. Controlli anche a Brescia, la provincia lombarda che ha pagato finora il prezzo più alto. Si sequestrano i documenti sui tamponi, i timbri di ingresso e uscita dei pazienti. Si cerca la verità anche sull’abnorme numero di decessi classificati come simil-influenzali benché provocati da sintomi in molti casi del tutto simili all’infezione da coronavirus.
Il virus nelle case di riposo è entrato dalla porta principale. «Abbiamo lanciato l’allarme ma nessuno ci ha ascoltati – denuncia Roberto Rossi, segretario della Cgil funzione pubblica di Bergamo –; molti assistenti, medici e infermieri delle cooperative sociali si sono ammalati. Abbiamo chiesto invano che prima di rientrare nei luoghi di lavoro gli venissero fatti i tamponi. Solo venerdì scorso hanno iniziato a farli. Sono rientrati ma sapere se fossero positivi». Stiamo parlando di circa sei mila camici bianchi e operatori nella sola provincia di Bergamo. Untori a loro insaputa.
LOMBARDIA CROLLO DI IMMAGINE
Si fa presto a dire autonomia… ma quando poi si tratta di tradurre le parole in fatti concreti e possibilmente efficaci lo scenario non è più così semplice. Ne sa qualcosa la Regione Lombardia, che in questi giorni sta vedendo crollare quell’immagine di super efficienza che si era costruita negli anni.
Emblematica nella sua drammaticità la vicenda del Pio Albergo Trivulzio e di altre Rsa lombarde, dove ieri ci sono state perquisizioni da parte della polizia giudiziaria. La Procura di Milano sta infatti indagando su una dozzina di strutture di ricovero per anziani per cercare di individuare le responsabilità delle decine di morti avvenute nelle scorse settimane; due i filoni di indagine: uno sulle responsabilità dirette rispetto alla mancata protezione dall’infezione del personale sanitario e dei pazienti; l’altro relativo alle direttive arrivate dalla Regione Lombardia, per il quale la Guardia di finanza ha acquisito la delibera regionale dell’8 marzo che permetteva alle Rsa di accogliere pazienti Covid dimessi dagli ospedali.
OSPEDALE DI SONDRIO
Altro caso di stringente attualità è la vicenda dell’ospedale di Sondrio dove il capogruppo della lista civica Sondrio Democratica Francesco Bettinelli ha raccolto «testimonianze di accessi indiscriminati all’ospedale – ha denunciato – sembrerebbe possibile accedere alla struttura ospedaliera senza quel controllo sanitario che ci si aspetterebbe in questo periodo. In molti hanno riportato di essere riusciti ad accedere ai reparti senza che qualcuno chiedesse loro il motivo, e senza che venisse misurata loro la temperatura corporea. Una libertà di accesso e di spostamento all’interno dell’ospedale che spaventano». Per questo Bettinelli ha chiesto al Sindaco di intervenire per verificare «la veridicità di quanto raccontato da più cittadini, oltre che valutare le motivazioni che hanno portato a tali scelte. Se tutto fosse confermato, la situazione sarebbe grave e pericolosa».
LE MASCHERINE
Questi due esempi corredano l’ampia vicenda delle mascherine, rese obbligatorie per tutti i lombardi quando escono di casa ma non fatte pervenire a tutta la popolazione. «Se viene disposto l’obbligo della mascherina, tutti i cittadini devono esserne dotati»: aveva commentato all’Ansa presidente dell’Anci Antonio Decaro all’indomani dell’ordinanza, firmata dal governatore Attilio Fontana il 4 aprile e entrata in vigore il giorno successivo. Un ordine impossibile da rispettare in toto perché le mascherine non ci sono: «in Lombardia siamo in 11 milioni e ci vorrebbe un dispositivo medico al giorno per ciascuno ma per il personale sanitario ce ne vorrebbero almeno 3 perché sono monouso. E stiamo parlando di quantitativi che andrebbero prodotti ogni giorno», valuta Ettore Brunelli, medico del lavoro che per decenni si è occupato del servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti del lavoro per l’allora Asl nonché ex assessore all’ambiente del Comune di Brescia.
Numeri immensi che si scontrano con il problema di fondo: la produzione non c’è e la riconversione di aziende italiane alla fabbricazione di questi materiali è stata tardiva e ora materie prime e macchinari costano di più. «Per i dispositivi medici siamo sempre stati dipendenti dall’estero, in primis dalla Cina – continua Brunelli – e il problema si è creato da quando questo Paese ha deciso di non venderne più perché ne aveva bisogno. Così ci siamo trovati sguarniti al momento del bisogno. Se chi ci governa ci avesse pensato subito, oggi, ad oltre due mesi di distanza dallo scoppio dell’emergenza in Italia, forse qualcosa avremmo, seppur non abbastanza». Anche nel caso dei dispositivi medici di sicurezza insomma la Regione Lombardia (e non solo) «non si è dimostrata in grado di gestire l’emergenza», sottolinea Siria Garattini, medico in pensione e oggi volontaria al call center di Ats Brescia, azienda per la quale per un certo periodo è stata dirigente del dipartimento di igiene e prevenzione sanitaria. «Il problema è che da un lato in Italia non c’è mai stata produzione per questo tipo di mercato, dall’altro il dispositivo delle gare d’appalto era macchinoso: era gestito dalle Regioni quindi le singole aziende sanitarie non potevano fare acquisti in autonomia».
Con l’emergenza Corona virus il meccanismo è cambiato: a metà febbraio la Regione Lombardia ha bloccato tutti i singoli ordini di presidi medici inviati in precedenza da Asst o aziende ospedaliere e ha centralizzato gli acquisti nell’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (Aria Spa). La procedura ha portato a ritardi negli approvvigionamenti e alla “fuga” di aziende multinazionali che producevano questo materiale. La denuncia è stata raccolta da Tpi.it che ha riportato le informazioni di un trader, il quale ha preferito restare anonimo e che ha dichiarato di aver lavorato con la società che effettua gli acquisti di mascherine per la Lombardia. L’intermediario ha spiegato che i prezzi proposti per l’acquisto, le condizioni di vendita e le scadenze erano inaccettabili: «nessuna azienda seria poteva lavorare in quelle condizioni. Chi vende mascherine vuole che si paghi il 100 per 100 all’ordine. Tanto se non paga l’Italia ora hanno migliaia di ordini da tutto il mondo e non hanno bisogno di un compratore in più». All’assessore lombardo alla salute e al presidente di Aria Spa il trader avrebbe detto: «chi accetta le vostre condizioni prende l’anticipo e scappa, perché qualsiasi azienda seria invece non l’accetterebbe. La società 3 M, la leader mondiale nel campo che produce le mascherine Ffp più protettive, accetta solo l’intero pagamento in anticipo o la lettera di credito. Se trovate gente che accetta offerte che vanno sotto il prezzo di mercato del 20 o del 30 per cento, vuol dire che vi stanno truffando».
E le truffe, o vicende che si potrebbero quanto meno definire “bizzarre”, ce ne sono già state: lo ha raccontato il giornalista dell’Espresso Fabrizio Gatti nella sua inchiesta in cui ha riportato l’episodio dell’ordine di mascherine annullato dalla Regione Lombardia a inizio marzo: Fontana aveva assicurato che entro il 27 febbraio ci sarebbe stato un ordine pari a 4 milioni di mascherine. Ma quei dispositivi non sono mai arrivati, secondo la versione ufficiale perché il «fornitore non è stato in grado di adempiere agli obblighi assunti». Il consigliere regionale dei Cinque Stelle Massimo De Rosa aveva dichiarato a Milano Today: «l’azienda si era rivelata inesistente».
Anche per la vicenda dei dispositivi medici di sicurezza insomma si confermano le dure al sistema sanitario regionale che, lungi dall’essere la tanto decantata eccellenza, in questa situazione di emergenza ha dimostrato tutte le sue pecche, frutto di anni di politiche, scelte, investimenti, errati. «La Lombardia si è dimostrata un gigante dai piedi d’argilla – aveva dichiarato il sindaco di Brescia Emilio Del Bono il 26 marzo a Radio 24 – l’industriosa Lombardia non è stata in grado in tempi rapidi di convertire o riconvertire le proprie aziende nella produzione di ciò che serviva».
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