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GLI interrogativi sulla prosecuzione della stagione, sulla pianta occupazionale ma anche sulle questioni più pratiche. Una su tutte: una volta ceduto il bene, il Comune potrebbe teoricamente chiedere ai “riabilitati” proprietari alcuni arretrati.
Almeno gli ultimi cinque anni della pesante Imu, che oggi non a caso l’attuale inquilino, la Fondazione, non paga trattandosi di un immobile sino a ieri comunale. Ha solo l’obbligo di versare la Tari, la tassa sui rifiuti, quantificata ogni anno tra i 13 e i 14mila euro.

E cosa succederà poi all’ente lirico-sinfonico che attualmente gestisce l’immobile su una precisa disposizione di legge, la 310 del 2003? Verrebbe meno con il passaggio dell’edificio ai privati. Si addensano le nubi dell’ennesima battaglia legale sul destino del teatro Petruzzelli e della sua omonima Fondazione all’indomani della sentenza della Corte di Appello di Bari che estromette il Comune dalla proprietà – e a cascata gli altri soci fondatori della Fondazione, come Regione e Città Metropolitana – riassegnando la titolarità dell’immobile ai naturali proprietari, gli attuali sette eredi Messeni Nemegna.

Obbligandoli però a un risarcimento monstre: versare quasi 43,5 milioni di euro (più gli interessi legali) per le spese sostenute dallo Stato per la ricostruzione. Quella ricostruzione che ha consentito al politeama di riaprire i battenti il 4 ottobre 2009 dopo diciotto lunghi anni dall’incendio doloso del 1991. Una partita insomma intricatissima che in queste ore tiene banco negli uffici legali di tutte le parti interessate, per studiare le contromosse e valutare ogni soluzione da portare martedì a Roma all’attenzione del ministro Dario Franceschini. Nell’incontro urgente chiesto e ottenuto nelle ore immediatamente successive alla sentenza dal sindaco di Bari, nonché presidente di diritto della Fondazione Petruzzelli, Antonio Decaro. La sentenza della Corte di Appello afferma un principio semplicissimo nella parte in cui stabilisce che la proprietà del politeama resta ai privati, demolendo pezzo per pezzo tutto l’impianto giuridico degli atti che avevano invece spostato la titolarità del bene verso il patrimonio pubblico, cioè comunale.

I giudici infatti danno ragione agli eredi nella parte in cui hanno sostenuto che «vi era una concessione di diritto pubblico, non vi era alcuna decadenza dichiarata, e neppure, a rigore, un bene pubblico poiché il teatro, realizzato su suolo comunale in virtù della convenzione del 1896, era un bene privato».
Il riferimento è l’atto che 125 anni fa autorizzò il fondatore Antonio Petruzzelli a realizzare il politeama su un suolo pubblico, quello di corso Cavour concesso, come si legge negli atti di allora, in maniera “gratuita e perpetua”.

Insomma, il Comune non avrebbe potuto più avanzare alcun diritto di restituzione come invece sosteneva nella delibera di consiglio comunale che nel 2010, sotto Michele Emiliano sindaco, annullò in autotutela la convenzione del 1896 e trasferì la titolarità del teatro al patrimonio pubblico. E per i giudici, non a caso, sono di rilievo le due circostanze in cui la proprietà privata del teatro emerge chiaramente sia dall’atto di esproprio a danno dei Messeni Nemagna, deciso dal governo nel 2006 nella legge finanziaria, sia dalla successiva revoca stabilita invece dalla Cassazione nel 2008 perché si trattava di decreto provvedimento adottato «senza che ricorressero i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza».

Il Comune aveva invece adottato un’altra linea stabilendo che la convenzione era scaduta nel 1995, essendo trascorsi i naturali 99 anni della concessione dei suoli e che nel 1994 (tre anni dopo il rogo) era stata disattesa nella parte in cui il proprietario del teatro si impegnava a ricostruirlo nell’arco di tre anni in caso di crollo.

«Teatro incendiato ma mai crollato e la cui staticità è stata poi certificata dopo il rogo» è stata la tesi dei ricorrenti per demolire questo altro cavillo giuridico. I giudici hanno respinto invece ogni pretesa della famiglia sugli indennizzi considerando che «gli eredi Petruzzelli non hanno – si legge nella sentenza – giammai allegato (e tanto meno provato) né di avere avuto le disponibilità economiche e finanziarie indispensabili per la ricostruzione del teatro e la sua riattivazione (tant’è che l’impegnativo intervento di recupero del politeama fu finanziato interamente dalla “mano pubblica”) né di aver dovuto rinunciare, a causa della perdita di possesso del compendio immobiliare, a offerte contrattuali che consentissero alla proprietà privata di “mettere reddito” il cespite immobiliare».

L’unica partita degli indennizzi è quella che resta a carico degli eredi e quantificata in 43,5 milioni di euro, «i fondi a corposo ed esclusivo sostegno dello Stato grazie ai quali il teatro ha potuto recuperare il suo antico splendore e, soprattutto, piena funzionalità». Lo Stato insomma batterà cassa e l’incontro di martedì a Roma potrebbe già delinera le modalità e i termini.

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