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“Voglio confessarvi una mia segreta ambizione: interpretare il Don Chisciotte. Ci penso sempre e spero che il mio desiderio si avveri, poiché Don Chisciotte mi è molto simpatico”.
Queste parole appartengono ad Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis, in arte Totò, maestro della commedia italiana scomparso il 15 aprile di 55 anni fa. Totò, a dire il vero, già nel 1935 aveva incontrato, sul palco di un teatro, il Don Chisciotte, interpretandolo all’Eliseo di Roma in una rivista di avanspettacolo portata in scena come parodia eroicomica.
Il sogno: Totò, l’erede di Don Chisciotte
Il desiderio di Totò, cinematograficamente parlando, resterà solo un sogno… ma i sogni, soprattutto quelli forti di una potenza evocativa e narrativa indomabile, a volte sopravvivono ai sognatori, per trasformarsi, attraverso strane forme e misteriose combinazioni, in realtà.
Il 21 aprile il desiderio di Totò prenderà forma nel linguaggio dell’arte sequenziale, del fumetto. Arriverà infatti in tutte le librerie italiane Totò, l’Erede di Don Chisciotte (Ed. Panini Comics), opera di Fabio Celoni, sceneggiatore e disegnatore in forza alla Sergio Bonelli Editore e alla Disney, che prende spunto da un soggetto scritto da alcuni dei più importanti autori e registi italiani.
Il ritrovamento di questi documenti, risalenti alla fine degli anni ’40, è paragonabile a una vera e propria caccia al tesoro che Celoni ha portato avanti ispirato dalla sua grande passione per Totò.
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Come racconta il fantasmagorico e geniale l’autore di Dylan Dog e di tante storie Disney nel primo dei due volumi che comporranno l’opera, tutto parte da un accenno apparso in raro libro di Vincenzo Anile dal titolo “I film di Totò – La maschera tradita”. Nel volume emerge che un gruppo di autori e registi del calibro di Antonio Pietrangeli, Lucio Battistrada, Marcello Bollero, Cesare Zavattini, Umberto Barnaro e Aldo Vergano avrebbe lavorato ad una bozza del progetto. Altro elemento è il nome del regista, proprio Aldo Vergano, il quale parla del progetto anche in un’intervista rilascia a Carlo Lizzani nell’edizione del 19 febbraio 1950 dell’Unità. La casa di produzione doveva essere l’O.F.I. (Organizzazione Films Internazionali). Pare che Totò avesse già firmato un contratto di venti milioni di lire per girare la pellicola.
Celoni scopre che il materiale legato al film esiste davvero e si trova nel Fondo Pietrangeli. Contatta dunque prima Antonio Maraldi, direttore e curatore del fondo, e poi la famiglia De Curtis, nella persona di Elena Anticoli De Curtis, nipote di Totò. Il corposo faldone ritrovato, pieno di veline battute a macchina, conteneva ben 14 versioni diverse del soggetto, di cui una anche in inglese. “Idee, ripensamenti, versione alternative, scene tagliate, idee scritte direttamente a mano, accenni di dialogo ma nessuna vera sceneggiatura”, si legge nei corposi redazionali che accompagnano l’opera.
Il secondo passaggio fu l’Archivio Cesare Zavattini, ricco di moltissimo materiale dedicato all’uomo che fu giornalista, commediografo, scrittore, poeta e pittore, ma anche sceneggiatore, insieme a Federico Pedrocchi di quel capolavoro a fumetti disegnato da Giovanni Scolari che è Saturno contro la Terra, tra primi se non proprio il primo racconto di fantascienza a fumetti italiano.
L’adattamento realizzato da Fabio Celoni, che vede un Totò fumettistico protagonista, è un gioiello narrativo, il cui si evince il massimo rispetto, lo sconsiderato amore e la grande conoscenza dell’autore per i meccanismi narrativi, la mimica e la dialettica verbale e corporale del Principe De Curtis.
Le pagine in cui Totò evoca e cita il personaggio di Cervantes sono dei cineproiettori di carta che proiettano un film vero e proprio negli occhi del lettore, trascendendo i linguaggi. Anche la scelta del colore, nell’opera, non è casuale. L’idea del film risale al 1948, il primo film a colori italiano è del 1950, e lo stesso Totò realizzerà nel 1952 il celebre Totò a colori. Celoni ritiene affascinante l’ipotesi, che tale resta, che Totò, l’erede di Don Chisciotte avrebbe potuto essere il primo film a colori italiano. Ma ciò è relativamente importante. Ha invece una grande valenza l’uso del colore nel fumetto in oggetto, che Celoni calibra con grande maestria, attenzione e senza alcuna parsimonia rendendolo una componente narrativa di primo livello, non al servizio dell’opera, ma parte integrante della stessa, o ancora meglio elemento che eleva a potenza i suoi disegni, già evocativi e suadenti.
Al fianco di Totò non poteva che esserci, nelle vesti di Sancho Panza il buon Aldo Fabrizi. Celoni evidenza come in nessuna parte della documentazione da lui reperita si accenni a chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo ma che, a seguito di un vero e proprio sogno evocativo, la scelta ricadde sul compagno di tante pellicole, così che dopo quasi 60 anni dal loro ultimo lavoro (“Totò contro i quattro” del 1963) i due maestri della commedia si ritrovano a condividere la stessa inquadratura… anche se in questo caso parliamo di vignette e non di riprese.
Non è la prima volta che Totò gode di una versione a fumetti: dal settembre a dicembre del 1953 le edicole italiane ospitarono la serie “Totò a fumetti”, 12 numeri di una ventina di pagine (a cui si affiancano altri 4 volumetti di cui due di ristampe) pubblicate dalla Diana S.r.l., realtà che trae il nome da Diana Bandini Rogliani che fu la moglie di Totò. Tutte queste informazioni, delizia per i tanti appassionati, sono contenute all’interno del volume ed emerse grazie allo studio e al lavoro posto in essere dallo stesso Celoni.
Resta dunque, alla fine della lettura di questa prima parte e in attesa della seconda, una domanda: perché questo film non vide mai la luce, o meglio, il buio di una sala di proiezione? Un possibile motivo va ricercato nel momento storico in cui questa pellicola sarebbe dovuta diventare realtà. I primi degli anni ’50 videro molta critica, imbellettata, schierarsi contro le pellicole e l’interprete di San Giovanni decollato, Totò al giro d’Italia, L’oro di Napoli, in un elenco esemplificativo e non esaustivo. Commentando in modo ironico queste avversioni da parte dei critici, il principe osservò che probabilmente si era “guastato con il crescere”.
In fondo Totò, personaggio prima ancora che attore e uomo, non è poi così dissimile dal Don Chisciotte. Entrambi furono figure romantiche e umane, entrambi lottarono contro i mulini a vento, entrambi furono protagonisti di grandi vittorie e di sofferte sconfitte, entrambi sono oggi indimenticabili. Una sola differenza: Don Chisciotte fu un’idea che divenne ideale facendosi uomo di carta e parole, Totò fu uomo che si fece maschera per raccontare un’Italia forse non ideale, ma vera come sa esserlo solo la finzione.
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