Palazzo Chigi
4 minuti per la letturaAbbiamo chiesto al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di convocare a brevissimo termine gli Stati Generali dell’Economia e di definire e gestire da Palazzo Chigi un Progetto Paese di lungo termine (LEGGI). Abbiamo fatto questa proposta perché ascoltare e confrontarsi con chi fabbrica il prodotto interno lordo italiano significa mettere al riparo la cassa europea dalle fameliche incursioni della politica vecchia e nuova che ha nel suo DNA il marchettificio non lo sviluppo, il debito assistenziale non gli investimenti produttivi pubblici e privati. Abbiamo fatto questa proposta perché l’indirizzo e la gestione della politica economica nel pieno della Grande Depressione mondiale non possono essere nelle mani di questo o quel ministero, di questo o quel ministro ostaggio della peggiore burocrazia europea qual è quella italiana, perché sono tutti privi della necessaria visione di insieme.
Siamo contenti che il Presidente Conte abbia raccolto l’invito del nostro giornale e che lo abbia fatto con i toni e la determinazione giusti. Siamo ancora di più contenti che abbia riconosciuto senza giri di parole che ci si confronta con un apparato statale non all’altezza e abbiamo apprezzato che sia tornato a scusarsi per i ritardi nella fase esecutiva del decreto liquidità da noi ribattezzato “decreto illiquidità”. Ci sono comportamenti che fanno la differenza. Abbiamo chiesto più volte al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, di assumersi la responsabilità politica degli errori compiuti e di chiederne conto al direttore Rivera per potere insieme chiedere scusa e, soprattutto, per potere insieme correggersi. Non solo ciò non è mai avvenuto ma molti di questi errori che sono la duplicazione delle procedure, lo Stato padroncino, una corsia privilegiata per i Soliti Noti e barriere insuperabili per la piccola e media impresa del Nord e del Sud, sono stati addirittura ripetuti. Francamente nulla più di un ministro dell’economia che va in televisione a dire che riceve lettere di ringraziamenti e di un capo dell’Inps che al posto di nascondere la testa sotto la sabbia si permette addirittura di autoincensarsi, contribuisce attivamente a dare fuoco a un incendio sociale che è già in atto e che può diventare in autunno una polveriera. Che differenza di stile tra il comportamento di chi si assume responsabilità non sue e quello di chi gioca a nascondino come un bambino con le proprie.
Fermi tutti, per piacere! Se si vuole fare un nuovo inizio e avere il rispetto dovuto per un Presidente della Repubblica che esprime l’anima profonda del Paese rispettata nel mondo e ne custodisce con certosina pazienza il tessuto civile tra miasmi e sfilacciamenti di ogni tipo, allora bisogna ripartire dagli Stati generali dell’economia e da una macchina pubblica, nazionale e regionale, tutta nuova non solo banalmente digitalizzata ma fondata sui principi basilari dell’autocertificazione in economia e dei controlli rafforzati ex post. Non possono continuare a scrivere le leggi gli uomini delle pandette del secolo scorso, mettiamoci a fianco tecnici digitali di qualità, ingegneri, analisti finanziari, gente che sa stare nel mondo nuovo e conosce i tempi del mondo nuovo. La riforma delle riforme è una agenzia snella di venti trenta persone che recuperi le capacità realizzative della Cassa di Pescatore degli anni del miracolo economico quando l’Italia era la lepre nell’utilizzo dei fondi comunitari. Il cammino interrotto della crescita del Paese deve ripartire dalla riunificazione infrastrutturale materiale e immateriale delle due Italie. Per ridare al Nord il suo più importante mercato di consumo, al Mezzogiorno la leadership nel Mediterraneo, e per confermare all’Italia intera il rango di economia industrializzata e di potenza economica. Che viceversa rischia di perdere per un circuito perverso di miopie che ha condotto la parte più avanzata del Paese a scegliere la scorciatoia tedesca sottraendo risorse dovute al Sud e degradandosi senza saperlo a appendice meridionale del gigante europeo malato, a sua volta stretto nella tenaglia di fuoco cinese e americana. Questo ci insegna la lezione degli ultimi dieci anni. Questo ci obbligano a non fare più la Pandemia globale e la Grande Depressione mondiale. Non esistono più quarti di nobiltà e vanno banditi i calcoli di bottega. Chi ha l’onore e l’onere di rappresentare le imprese italiane ha il diritto di criticare aspramente chi governa, e ne ha ben donde, ha il dovere di fare proposte serie e di esigere l’ascolto, ma non può permettersi di ingiuriare e di offendere perché alza polveroni nel momento in cui i cocci vanno ricomposti e finisce con l’apparire schierato politicamente che non è mai un bene per chi difende le ragioni dell’economia. Il tempo delle scorciatoie è finito per sempre.
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