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UN’AMPIA riforma di Irpef e pensioni. È la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, la promessa di un Sacro Graal cui nessun governo si sottrae mai. E il Conte bis non vuole fare eccezione. Ieri, in un intervista rilasciata al Corriere della Sera, il presidente del Consiglio ha messo questi due punti in cima all’agenda dell’esecutivo.

Non che ci sia niente di male, soprattutto nel caso del taglio della tassa sulle persone fisiche. Il punto è un altro: sono queste le priorità del Paese, di un Paese che sta sperimentando la crescita zero, o quasi, del Pil? Nel 2014 il Fondo monetario internazionale si è improvvisamente scoperto keynesiano. Per uscire dalla crisi economica, raccomandavano gli economisti di Washington, serve investire nelle infrastrutture, l’unica spesa che si ripaga praticamente da sola. Da nuove opere derivano maggior entrate provenienti ad esempio dai redditi dei lavoratori impegnati nella costruzione, senza considerare i benefici di lungo termine.

In Italia, però, la lezione di John Maynard Keynes sembra difficile da assimilare. Si spiega solo così la quotidianità di un Paese spaccato in due, la realtà di un Mezzogiorno fermo a cinquant’anni fa, ma escluso dal dibattito politico che conta. Eppure lo Stato che fa figli e figliastri è ormai un’evidenza, certificata anche dalla recente indagine parlamentare promossa dalla presidente della commissione Finanze, partita proprio dai numeri tirati fuori dal Quotidiano del Sud.

LO SCIPPO

I numeri, dunque. L’arretratezza del Sud si condensa in poche cifre: 62,5 miliardi. Sono le risorse che nel solo 2017 sono state dirottate dall’Italia meridionale a quella del Centro-nord. Risorse che avrebbero potuto garantire asili nido, cure mediche dignitose, un welfare più equo ai cittadini del Sud e che invece sono andati ad arricchire chi già vive condizioni migliori. Il calcolo non si basa su dati forniti da centri studi o fondazioni ad hoc, ma sui numeri messi nero su bianco dai Conti pubblici territoriali, istituto statistico facente capo all’Agenzia per la Coesione territoriale, che si occupa di misurare e analizzare i flussi finanziari di entrata e di spesa delle amministrazioni pubbliche e di tutti gli enti appartenenti alla componente allargata del settore pubblico.

Quei 62,5 miliardi rappresentano uno scarto del 6,4%, in crescita dello 0,4% rispetto al triennio precedente, fra quanto le regioni meridionali avrebbero dovuto ricevere in termini di spesa pubblica, sulla base della popolazione residente, e quanto hanno avuto in realtà. I cittadini del Sud, vale a dire il 34,2 degli italiani, portano a casa appena il 27,8 dei trasferimenti provenienti dallo Stato centrale. Tendenza invertita dal Centro- Nord che riesce ad accaparrarsi molto più di quello che l’aritmetica consentirebbe: il 65,7% della popolazione accede al 72,1% delle risorse statali. In termini assoluti la sproporzione diventa ancora più evidente. Per un cittadino residente da Roma in su, lo Stato spende 17.506 euro all’anno; per un connazionale nato nel Meridione appena 13.144. E il trend è in crescita, se si considera che lo “scippo” nel triennio precedente valeva solo, si fa per dire, 61,2 miliardi.

INVESTIMENTI A PICCO

Fin qui la spesa corrente. Il quadro non migliora se si guarda alla spesa in conto capitale, i cosiddetti investimenti. Sempre dati Cpt, il disinteresse dello Stato per il Mezzogiorno corre su una vertiginosamente orientata verso il basso: se negli anni Settanta allo sviluppo del Sud veniva destina lo 0,85% del Pil, nel periodo 2011-2015 tutto si è ridotto a un micragnoso 0,15%.

Con buona pace di chi ancora sogna, non tanto e non solo treni veloci, ma almeno collegamenti stradali decenti. Secondo i dati raccolti dall’as sociazione Agrinsieme, con il supporto di uno studio Nomisma, nelle regioni meridionali ogni impresa può contare su meno di 20 km di reti, la metà di quelle a disposizione nel Nord-Ovest, con la Puglia fanalino di coda con appena 7,9 km per azienda. Se si guarda alle sole autostrade si nota che, a fronte di una media nazionale di 23 km ogni 1000 kmq, nel Sud si scende a 20 km/1000 kmq, con la Basilicata ferma a 3 km/1000 kmq e il Molise a 8 km/1000 kmq. Non va meglio alle linee ferroviarie, che contano 36 km/1000 kmq nelle Isole, contro una media è di 55 km/1000 kmq.

L’Alta velocità di ferma poco più avanti di Salerno e la tratta fra Napoli e Bari, i due principali capoluoghi del Sud, non sarà completata prima del 2026. Un problema non solo per il turismo, ma anche e soprattutto per chi in questi territori trascorre 365 giorni all’anno. Tra il 2010 e il 2018 il taglio dei servizi regionali è stata una costante in tutto il Sud. In Molise 33,2% di treni in meno, in Calabria il 16% in meno, il Campania il 15%. Certo potrebbe andare addirittura peggio. Ad esempio se l’Italia uscisse dall’Unione Europea.

I FONDI UE

In questi anni i fondi europei sono stati la pezza sui buchi fatti dai governi nazionali. Una pezza spesso insufficiente, che in teoria dovrebbe essere “aggiuntiva” rispetto agli investimenti nazionali. Non solo questa aspettativa viene puntualmente smentita, negli ultimi tredici anni è successo esattamente il contrario: l’Italia ha tagliato i fondi di sviluppo e coesione, destinati per l’85% al Sud, e ha dirottato le relative risorse su altre voci di spesa.

Ecco i numeri, elaborati sui dati della Ragioneria generale dello Stato. L’importo complessivo destinato dalla Finanziaria per il 2007 al Fondo sviluppo e coesione per la programmazione 2007- 2013 ammontava a 63,273 miliardi. Oltre un terzo, 22,3 miliardi, è stato dirottato con una successiva delibera Cipe sul risanamento dei conti pubblici durante la crisi dei debiti sovrani A crisi arginata, nel periodo di programmazione 2014- 2020, i 68,8 miliardi del Fondo Sviluppo e Coesione hanno subito una decurtazione di 9,5 miliardi, che sono andati a coprire altri provvedimenti legislativi. A conti fatti, 31,8 miliardi di tagli in tredici anni, di cui oltre 27 (l’85%) pagati dal Mezzogiorno.

GLI AIUTI DI STATO

La ciliegina sulla torta sono gli aiuti di Stato, risorse destinate dall’amministrazione centrale alle imprese, nel rispetto delle norme europee. Dal agosto 2017 a oggi, la Lombardia ha ricevuto 3,5 miliardi di euro in aiuti di Stato, quasi sei volte i 600 milioni incassati dalla Calabria.

Un caso? A una prima occhiata il dato generale risulta molto più equilibrato. Le risorse concesse vanno infatti per il 38,3% a imprese delle regioni meridionali e per il 61,7% ad aziende Centro Nord. Ma c’è il trucco. basta scomputare dal totale il denaro proveniente dai fondi europei, per trovarsi davanti tutto un altro film: il centronord si accaparra il 73,2% degli aiuti, al Sud va appena il 26,8%. Tutto un altro film appunto, un film già visto.


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