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Diciamoci la verità: la trappola dell’autonomia differenziata (che per Matteo Salvini era soltanto una cambiale da onorare “a babbo morto”) per l’attuale maggioranza (di salute molto delicata e precaria) l’autonomia è un incubo fortunatamente svanito quando ho suonato la sveglia.

La questione – considerando, al di là delle promesse – l’impostazione ben poco solidaristica e di riequilibrio contenuta nei protocolli tra lo Stato e le Regioni interessate – sarebbe stata assai problematica per quanto riguarda il settore della sanità che non interagisce soltanto con un diritto fondamentale delle persone, ma che costituisce la quota prevalente dei bilanci regionali e, come tale, impegnativa da gestire. Ma come stanno le cose da noi? Per non limitarsi ad inseguire le farfalle sotto l’Arco di Tito e rassegnarci ai soliti luoghi comuni, cerchiamo di ancorarci a documentazioni ufficiali che, in uno Stato democratico, dovrebbero garantire sulla veridicità dei fatti.

Prendiamo in esame, quindi il testo di un’Indagine parlamentare, di alcuni anni or sono, nella quale vengono indicati indirizzi allo scopo di conciliare spesa e tutela: indirizzi che non sono stati seguiti. Nel corso dell’indagine conoscitiva è stato quindi più volte sottolineato come il tema del contenimento della spesa non possa essere risolto con tagli, che determinano una riduzione del livello e del volume dei servizi, ma debba essere affrontato utilizzando al meglio i fattori produttivi disponibili, mediante l’organizzazione della qualità dell’offerta, l’appropriatezza delle prestazioni e la gestione della variabilità nociva, in modo da eliminare l’erogazione di servizi non necessari o non richiesti, assicurando i servizi effettivamente necessari.

In ogni caso, è evidente che la copertura e l’accesso al servizio sanitario possono essere mantenuti solo attraverso una forte riorganizzazione dei servizi. Si tratta, in sostanza, di promuovere e diffondere l’appropriatezza clinica, attraverso la definizione di corretti percorsi diagnostici e terapeutici per le diverse patologie croniche, stabilendo tipologia e frequenza degli esami, in modo da assicurare accessibilità, appropriatezza ed efficacia delle cure, eliminando il rischio di ricorso inappropriato alle prestazioni. In questo quadro, uno degli strumenti indicati ai fini della riduzione della spesa è il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale. Il superamento delle logiche ospedalo-centriche a favore della domiciliarizzazione di strutture intermedie, vale a dire luoghi socio-sanitari di prossimità dotati di una piccola equipe multiprofessionale, potrà consentire che l’ospedale divenga il luogo dell’intensività assistenziale, e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista.

L’assistenza territoriale, invece, come attualmente operante, pur assorbendo risorse finanziarie consistenti, espone un’offerta insoddisfacente e molto differenziata su base regionale, specie in alcune zone del Mezzogiorno, dove, in presenza della chiusura di alcuni ospedali, si determina un vero e proprio vuoto assistenziale. La continuità territoriale necessita ovviamente di una rete diffusa di presidi distrettuali, strutture intermedie, ecc., ma, se adeguatamente implementata, potrebbe consentire, nel medio termine, un più efficiente utilizzo delle risorse finanziarie disponibili.

Nel corso dell’indagine conoscitiva è stata comunque ribadita la validità del sistema organizzativo incentrato sulla scelta dell’Azienda sanitaria, che appare un’idonea forma gestionale di organizzazioni complesse multiprofessionali, quali le aziende sanitarie locali o ospedaliere che, in taluni casi, contano anche più di 5-7 mila dipendenti e devono gestire servizi tra loro completamente diversi ed eterogenei, nella logica di un’impresa multibusiness.

Sono stati per altro evidenziati alcuni nodi tecnici già conosciuti, quali le logiche divergenti fra la contabilità finanziaria di Stato e regioni e quella economica delle aziende; la scarsa significatività dei bilanci aziendali dai quali non emerge, in modo immediatamente fruibile, il dato di efficienza; la sostanziale parametrazione del finanziamento delle aziende sulla spesa storica. È pertanto urgente procedere ad un recupero di efficienza, che si può ottenere solo incoraggiando i comportamenti virtuosi; ad esempio, utilizzando le banche dati a disposizione. La finalità da perseguire è, in sostanza, quella di ristabilire un meccanismo che premi le Aziende virtuose e stigmatizzi i comportamenti non corretti o comunque inefficienti.

È quindi necessario premiare la qualità, applicando regole che valorizzino i sistemi sanitari regionali, le aziende sanitarie e ospedaliere e gli operatori, anche privati, migliori, promuovendo una virtuosa competizione fra erogatori che induca gli stessi – sia pubblici che privati – ad adeguarsi ai più rigorosi standard di qualità. In questa ottica, è necessaria la ricerca di un non facile equilibrio sul tema della mobilità sanitaria che, per un verso, costituisce un efficace strumento di incentivazione degli operatori più validi, aumentando la domanda di prestazioni presso gli stessi ed il conseguente maggior afflusso di risorse finanziarie, in tal modo premiandone la qualità di cura, ma, per altro verso, determinando un effetto opposto verso le strutture sanitarie di provenienza, che sono quasi sempre quelle del Mezzogiorno, le quali non sono messe in grado di funzionare e finiscono per dover dirottare parte delle scarse risorse di cui dispongono per regolare, a loro danno, i ‘’debiti’’ con i presidi sanitari del Nord, in nome della mobilità territoriale.


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