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La Cuoca di Bernardo Strozzi (particolare)

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L’OCCASIONE è propizia per aprire le sale di palazzo Pallavicino che accolgono i dipinti del più importante pittore del Seicento genovese, Bernardo Strozzi, fra i quali  “Giuseppe spiega i sogni”, capolavoro del primo tempo veneziano dell’artista, di bellissima invenzione e di pittura densa e calda, la stessa del “Bambino Gesù dormiente”  con i simboli della Passione legato alla Fondazione Pallavicino nei giorni delle festività natalizie dell’anno in cui ottuse prescrizioni hanno tentato di interdire il ricordo delle tradizioni cristiane.

Tanto più  gradita questa presenza che unisce il soggetto devozionale, primario nella nostra religione, alla più libera esecuzione espressa in una pura edonistica pittura. È una festa per Genova, ed è la ragione del primo dono augurale della nuova istituzione genovese alla città, che arricchisce i suoi musei e i palazzi dei Rolli di una preziosa collezione, pressoché sconosciuta e di leggendaria rinomanza. Inizia una nuova storia, ed è nel nome di un pittore straordinario che rappresenta più di ogni altro la grande pittura che discende da Caravaggio e da Rubens.

Dopo aver celebrato Niccolò Paganini, la cui figura è stata per troppo tempo confinata in un colto ricordo, commissionando a Livio Scarpella una statua di bronzo dorato per celebrarne pubblicamente l’anima, e la vita nell’arte, la Fondazione Pallavicino presenta il “Gesù bambino dormiente tra i simboli della passione”, che esalta la innocente purezza del Dio fattosi uomo, la vera divinità del Cristo che è la sua umanità. Strozzi torna in mostra nel capoluogo ligure dopo l’esposizione del 2019, curata con straordinario impegno da Anna Orlando e Daniele Sanguineti che hanno ristabilito, attraverso una revisione dei documenti, una cronologia più stretta e convincente del pittore e dei suoi rapporti con i pittori lombardi e con l’inevitabile Caravaggio, indagando la sua precoce produzione dal 1600-1605, fino a indicare alcuni straordinari risultati tra 1610 e 1615.

Nato a Genova nel 1581, Strozzi si forma sotto il vento caldo di Peter Paul Rubens e di Anton Van Dyck. Ma un sicuro rilievo anche per lui, come per il seducente pittore senese Pietro Sorri, di cui fu allievo, ragazzo, tra il 1595 e il 1598, dovette avere Federico Barocci, presente a Genova, nel 1596, con la “Crocifissione” per la Cattedrale. Inevitabilmente, l’attenzione di Strozzi è anche per la pittura lombarda, da Caravaggio a Morazzone, a Giulio Cesare Procaccini, da cui deriva l’empito barocco.

Sembra necessario, parlando di Strozzi, un riferimento al Merisi, per la pratica del naturalismo, per come egli guarda e interpreta la realtà. Eppure quella strozzesca è una personalità dirompente, e in realtà all’opposto di Caravaggio, al quale pure indirizza una intensa curiosità, ma svolgendosi, poi, in una euforia pittorica incontenibile. Non è facile intendere come il pittore genovese abbia potuto vedere i dipinti di Merisi, dal quale comunque la sua indole era distante. E, non avendo testimonianze certe di un viaggio a Roma, si può più facilmente immaginare che egli ne abbia avvertito lo spirito attraverso l’opera di Orazio Gentileschi, caravaggesco presente a Genova nei primissimi anni del ‘600. Entrato in convento nel 1598, nell’ordine dei Frati minori cappuccini, riuscì ad uscirne temporaneamente nel 1608, alla morte del padre, per mantenere la madre vedova. Da qui lo status convenzionale di «prete genovese».

Di questo periodo, quello legato a Genova, del caravaggismo maturo, negli anni ’20 del Seicento, quando il Cappuccino aveva un’avviata bottega presso gli orti di sant’Andrea, sono alcune delle più celebri scene di genere, come “La cuoca” e “Il pifferaio” di Palazzo Rosso. La cuoca è una donna giovane e festosa, con una indimenticabile collana di corallo, che la sottrae alla condizione plebea, alle prese con la selvaggina, nella cucina di una dimora patrizia, come indica la sontuosa brocca d’argento da parata. Ma anche “l’Incredulità di San Tommaso” (1621 circa) e la “Madonna con il Bambino e San Giovannino” di Palazzo Rosso, così come la “Vocazione di Matteo” del Worcester Art Museum. Nella composizione dei due episodi evangelici, con san Tommaso che infila il dito nel costato di Cristo, e il ragazzo in primo piano che conta le monete, così come nella canestra di frutta della Madonna con il bambino, le citazioni caravaggesche dalla “Incredulità’ di san Tommaso”, dalla “Vocazione” della Cappella Contarelli e dalla “Canestra” dell’Ambrosiana sono quasi letterali, anche se la stesura è densa e calda, e i colori vividi e luminosi.

Di questo tempo, è anche il “San Lorenzo dispensa gli argenti ai poveri”, databile tra il 1620 e il 1625 (Anna Orlando), di proprietà del principe Pallavicino. Per il suo virtuosismo, Bernardo Strozzi ottenne l’apprezzamento e la protezione dei due cugini Giovan Stefano e Giovan Carlo Doria, esponenti della famiglia più ricca e influente di Genova. Strozzi ebbe così consuetudine con la sterminata collezione di Giovan Carlo Doria, che comprendeva capolavori di Van Dyck e di Rubens, e decine di opere di Giulio Cesare Procaccini.

Dopo la morte di quest’ultimo, nel 1625, Strozzi fu accusato dal Tribunale Ecclesiastico di pratica illegale della pittura, di lucrare sulla vendita di quadri e di dipingere anche soggetti profani, attitudine ritenuta incompatibile con la condizione di sacerdote. E nel 1632, successivamente alla morte della madre, venuto meno il motivo per cui gli era stato concesso di abbandonare il clero regolare, per evitare di essere nuovamente confinato in monastero, decise di chiedere asilo alla Repubblica di Venezia, in cui si stabilì, acquisendo velocemente notevole fama grazie ai ritratti del cardinale Federico Correr e del doge Francesco Erizzo, che gli permise di ottenere importanti commissioni come il tondo con l'”Allegoria della scultura” per il soffitto della Libreria Marciana, la “Parabola del convitato a nozze” (1630) per l’ospedale degli Incurabili, e la grande pala d’altare con san Sebastiano per la chiesa di san Beneto.

Proprio di questa fase, quella di uno Strozzi nel pieno della maturità artistica, negli anni trenta del ‘600, ispirato da Rubens e Veronese, sono le opere che esponiamo in questa occasione. Di questi anni fanno parte dipinti abbaglianti, sorprendenti, potentemente vitali, come organismi viventi che, talvolta, manifestano una grande capacità scenografica, come nel “San Giuseppe spiega i sogni”, e una resa realistica di grande efficacia, come nel volto del “San Gerolamo in meditazione”, o nel “Ritratto di Doge veneziano” . Nel periodo veneziano si manifesta la predilezione per Paolo Veronese, già evidente nella “Cena in casa di Simone”, dipinta per la chiesa genovese di santa Maria in Passione. Appartengono a questo periodo opere supreme come “Giuseppe interpreta i sogni dei prigionieri” (Fondazione Pallavicino) e la “Carità di San Lorenzo” (Venezia, chiesa di San Nicola da Tolentino).

Negli anni di questa importante presenza veneziana si pone la lussureggiante Pala di Tiarno di sopra, commissionata da mercanti veneziani provenienti dalla Val di Ledro, i fratelli Sala, che donano l’opera nel 1640 per lasciare memoria della loro affermazione sociale nel paese d’origine. Nel 1644, con il pennello ancora acceso di colore in mano, Bernardo Strozzi muore a Venezia, più vivo che mai.


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