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Sergio Mattarella durante il discorso agli italiani

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CON il tono sobrio che gli è consueto, Sergio Mattarella ha dato l’addio dallo studio della Vetrata al settennato, facendo leva su due parole chiave: fiducia e speranza. Che hanno fatto parte integrante del suo vissuto quirinalizio. Un discorso di 15 minuti, asciutto e privo di orpelli, senza leggio, in piedi con alle spalle la bandiera italiana e quella europea.

Ma il suo discorso riflette fino in fondo il Dna del suo esercizio, soprattutto quelle righe finali quando, senza dare indicazioni sul nome del proprio successore (non poteva certamente farlo) ne tratteggia il profilo del carattere. Laddove indica che l’”Italia crescerà” mette in evidenza come la ripartenza della Nazione è stata possibile grazie al fatto che il primo dovere di un presidente è quello di sforzarsi di agire nell’interesse generale, unica strada (quantomai indispensabile) per ricercare le ragioni dell’unità.

Ed è questo l’obiettivo centrato da Mattarella. Ma per certi versi è pure una risposta a quanto disse Mario Draghi nella conferenza stampa del 22 dicembre, anche se le sue parole non vennero interpretate nel modo più giusto ed equilibrato. Nel momento in cui traccia un bilancio del settennato, Mattarella indica i doveri da assolvere per l’inquilino del Quirinale. “Ciascun presidente all’atto della sua elezione, avverte due esigenze di fondo: spogliarsi delle appartenenze e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato, deve trasmettere integri al suo successore”.

Per quanto siano regole elementari, non sempre i partiti intendono seguirle. La corsa è appena cominciata ed i competitors sono già alle mani. Il gioco della mielina sul Colle sembra non finire mai. Enrico Letta ha fatto un’apertura di Draghi al Colle quando ha detto che, tuttavia, bisogna trovare un accordo solido. Primo, bisogna trovare un candidato serio e solido a Palazzo Chigi. Ed ha avvertito anche che se ci fosse sul Quirinale “una maggioranza più stretta, di quella al governo, il governo cadrebbe”.

Ma non è tutto. Polemiche sempre più vive sul voto a distanza lanciato dal Dem Stefano Ceccanti. Il presidente della Camera, Roberto Fico, gli ha risposto picche al voto online. Ovvero a quando si prevede alla Camera per il gigantesco assembramento di alcune migliaia di persone in ambienti ristretti: più di 1100 Grandi elettori, un numero da rendere irraggiungibile il quorum obbligatorio. Un vero rischio istituzionale. Soprattutto perché non si è seguito il modello europeo che consente le votazioni online. La burocrazia ha messo il veto e Fico si è adeguato. Fico non ha reso obbligatorio il tampone per chi entra in Aula e non ha previsto alcuna soluzione per chi sarà costretto all’isolamento.

La vicenda può tornare alla ribalta quando, domani, verrà comunicata la data del voto per l’elezione del presidente a Camere riunite. Per ora il progetto Ceccanti è destinato a rimanere lettera morta. L’unica risposta che viene data è di imporre un rallentamento alle operazioni di voto: non ci saranno due scrutini al giorno, ma soltanto uno.


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