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Un particola di Paolo e Francesca, di Gaetano Previati

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HO INIZIATO, con la nuova stagione teatrale a Milano, al teatro Manzoni, lo spettacolo su Dante e Giotto, o meglio su “Dante Giotto e l’amore”. Oggi è l’ultima rappresentazione milanese; poi, dall’8 al 12 di dicembre, lo porterò in scena al teatro Olimpico di Roma, per proseguire in Sardegna.

Gli episodi presi dagli affreschi di Giotto sono le Storie di Gioacchino ed Anna, nella Cappella degli Scrovegni, e di San Francesco nella Basilica superiore di Assisi. L’amore coniugale che con la benedizione di Dio, porta Anna ad essere la madre di Maria, e il singolare Sposalizio di Francesco con la “Povertà”, che determina un effetto di poligamia, con tutti i frati che vogliono sposare la stessa donna, accomodandosi ai suoi costumi.

Di Dante illustro l’amore assoluto, dominato dai sensi, e resistente anche all’inferno, di Paolo e Francesca. Certamente la prova d’amore più alta, al punto che Francesca non rinuncerebbe a Paolo neanche se Dio le promettesse il Paradiso. Ma c’è un canto della “Divina Commedia” da cui esce una figura femminile delicatissima e di grande carattere. E’ il terzo del Paradiso, all’inizio del viaggio di Dante per la sua visione di Dio; e lei si chiama Piccarda Donati. Il suo esempio ci insegna non la passione, ma la pazienza amorosa, che si manifesta nell’accettare pienamente, non per rassegnazione, la volontà di Dio.

Piccarda era nota a Dante, che l’aveva conosciuta a Firenze, ma in Paradiso non la riconosce. Lui è attratto da lei, vuole parlarle, vuole capire (“E io a l’ombra che parea più vaga/di ragionar, drizza’mi, e cominciai,/quasi com’uom cui troppa voglia smaga:/O ben creato spirito, che a’ rai/di vita etterna la dolcezza senti/che, non gustata, non s’intende mai,/grazïoso mi fia se mi contenti/del nome tuo e de la vostra sorte»). Lei subito pronta risponde: gli ricorda di averla conosciuta anche se la luce divina la trasfigura: “io fui nel mondo vergine sorella ; /e se la mente tua ben se’riguarda, /non mi ti celerà l’esser più bella, /ma riconoscerai ch’io son Piccarda”.

È una agnizione, dunque. E Dante la ritrova in Paradiso. Piccarda anticipa la domanda che Dante vuole rivolgerle, dicendogli di essere beata “in la spera più tarda”, una posizione distante da Dio, che non è una punizione, essendo in Paradiso, ma indica un limite nella passata vita terrena: ” e questa sorte che par giù cotanto/ pero’ n’è data , perché fuor negletti /li nostri voti, e voti in alcun canto” Dunque, Piccarda prese i voti entrando in convento fra le clarisse; poi, non per sua volontà, ne fu strappata, dovendo rinunciare alla vita di clausura.

Dante inizia a capire perché ha tardato a riconoscerla: “nei mirabili aspetti/ vostri risplende non so che divino/ che vi trasmuta dai primi concetti “. Per questo Piccarda gli sembra più bella; ma gli resta un dubbio: “dimmi: voi che siete qui felici /desiderate voi più alto loco/per più vedere e per più farvi amici?”.

Dante non si dà  ragione di perché quelle anime siano così lontane dalla luce divina. L’ha detto, e non può aspettarsi una risposta più soddisfacente: “frate, la nostra volontà quieta /virtù di carità, che fa volerne / sol quel che avemo e d’altro non ci asseta “. È serena Piccarda, lontanissima da ogni ambizione di meglio vedere Dio, di essere investita dalla sua luce. Questa ipotesi non si configura nemmeno come un desiderio, una legittima aspirazione, perché “se disiassimo di esser più superne,/ foran discordi i nostri desiri /dal voler di colui che qui ne cerne “. Non si può neppure concepire una volontà individuale diversa da quella di Dio, che ha stabilito la posizione di lei,   e delle anime che le sono intorno, rispetto a lui. E lo dimostra con grande precisione di concetti: “anzi è formale ad esto beato esse/ tenersi dentro a la divina voglia/ perché una fansi nostre voglie stesse”.

E, parlando di Dio, puntualizza ancor meglio la loro condizione: “e ‘n la sua volontade è nostra pace :/ell’è quel mar al qual tutto si move /ciò che ella cria o che natura face”. Improvvisamente Dante capisce, e sente questa apparente rinuncia, questa assenza di ambizione ,come un privilegio : “chiaro mi fu allor come ogni dove/in cielo è Paradiso” .

Non c’è più vicino e più lontano, c’è una sola volontà, di Dio e delle anime beate. E Piccarda vuole bene spiegare a Dante quanto le è accaduto nel mondo, e di cui esiste una didascalica rappresentazione in un dipinto di Raffaello Sorbi. Piccarda parla con compiacimento della sua scelta , e dell’improvvisa interruzione per la violenza degli uomini e dice di Santa Chiara : “perfetta vita e alto merto inciela /donna più su’…alla cui norma /nel vostro mondo[perché ormai il suo è quello divino ]giù si veste e vela, /perché fino al morir si vegghi e dorma /con quello sposo che ogni voto accetta/che caritate a suo piacer conforma ” Il sacramento dell’ordine religioso chiede che ad esso si rimanga perpetuamente fedeli. Piccarda aveva convintamente scelto quella condizione ,ma era stata costretta a rinunciarvi: “dal mondo, per seguirla, giovinetta /fuggimi, e nel suo abito mi chiusi /e promisi la via de la sua setta” . Questa era la sua volontà. Poi il fratello di lei, Corso Donati, amico di Dante, podestà e capitano del popolo a Bologna, la rapi’ dal Convento per darla in sposa a Rossellino della Tosa, esponente dei guelfi neri: “uomini poi, a mal più che a ben usi/ fuor mi rapiron de la dolce chiostra”.

Poche parole per dire come una volontà crudele e negativa si oppose alla sua vicazione. Come andò poi è  detto in un solo verso: ” Iddio si sa qual poi mia vita fusi”. Poi ,mentre parla di se’, Piccarda indica un’altra anima che le sta vicina ,e che ha avuto analogo destino : Costanza d’Altavilla ,che “pur al mondo fu rivolta /contra suo grado e contra buona usanza”; ma “non fu dal vel del cor gia’ mai disciolta”. Sublime. Ciò che resta dopo la violenza è, per Costanza come per Piccarda, “il vel del cor”.

Restare suora nella propria anima. La più alta prova dell’amore per Dio.


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