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SUI SOCIAL si trova il video di un imprenditore che ha sospeso i dipendenti che non intendono vaccinarsi, continuando ad erogare loro la retribuzione. Con un tono tra la sorpresa e l’incomprensione, racconta che uno dei renitenti gli ha dato del nazista. E’ un’accusa che ha risuonato nelle piazze dove i gilet gialli della sanità hanno contestato il green pass.
I più moderati hanno accusato il governo di preparare un regime autoritario; ma le varianti sono tante: si va dalla dittatura sanitaria, alla discriminazione pararazziale, fino alla violazione dei fondamentali diritti di libertà. Gli estremisti si avventurano sul terreno della Shoah, suscitando un commento rassegnato di una testimone credibile come Liliana Segre.
Ma tutto sommato il paragone non è completamente infondato, solo che si attaglia meglio ai no vax di nuovo conio che al governo. Chi indossa la stella gialla in questa circostanza dovrebbe vergognarsi perché è il suo cieco furore, privo di ogni razionalità, ad evocare la Shoah, che individuava negli ebrei quelle minacce montate ad arte che ne ‘’giustificavano’’ la persecuzione e lo sterminio.
Se i nazisti avessero avuto l’onestà di ragionare, non avrebbero trovato un solo motivo che giustificasse il loro odio contro gli appartenenti ad una religione; la stessa considerazione vale oggi per l’ostilità preconcetta al vaccino. Anche i filosofi diventano ‘’terrapiattisti’’ quando intendono giustificare la ‘’renitenza’’. Scusate: ma c’è una sostanziale differenza tra quanto stava scritto sui ‘’Protocolli dei Savi di Sion’’ e ciò che viaggia oggi sui social con riguardo alla storia del microchip che verrebbe inserito, col pretesto della vaccinazione, per tenere sotto controllo le persone?
Ma ciò che più indigna è l’invocazione dei diritti della persona e della libertà dell’individuo, fino al paragone con la sterilizzazione forzata degli inabili e dei dementi che purtroppo, nel secolo scorso, non è avvenuta soltanto della Germania nazista, ma anche i Paesi democratici. Occorre fare chiarezza sul principio della obbligatorietà della vaccinazione che è giusto stabilire per alcune categorie, mentre è discutibile che possa divenire un vincolo di carattere generale.
Il green pass non impone alcun obbligo, ma è un requisito necessario per poter accedere in certi luoghi o essere ammessi allo svolgimento di alcune attività. La mobilità è certamente un diritto importante nel mondo di oggi. Questa possibilità (con appresso il turismo) è meglio garantita da un passepartout che attesti una condizione di relativa immunità della persona che viaggia oppure da regimi di quarantena in entrata e in uscita? Nei 100 giorni di lockdown duro (e inutile perché coltivava l’illusione di liberarsi del virus), quando le restrizioni provocavano un crollo del Pil, noi non eravamo neppure liberi di andare dal barbiere, era in vigore il coprifuoco per non parlare della impossibilità di effettuare le attività che facevamo fin da bambini. Si vede che è stata fondata una sorta di Internazionale della follia che sta cercando, in Europa e in giro per il mondo, di rivitalizzare quel populismo che non se la passa più tanto bene sul piano politico. E purtroppo non si giustifica la linea di condotta dei sindacati.
Certo, non siamo ancora al caso della Francia, dove la CGT ha dichiarato degli scioperi contro l’obbligo presunto della vaccinazione. Anche in Italia cominciano i cluster della follia. Nei pressi di Pinerolo sono state effettuate due ore di sciopero perché l’azienda ha chiesto che si usasse la mascherina per entrare in mensa.
Pochi giorni prima la Suprema Guida della lotta per la libertà dal vaccino, Maurizio Landini (dal canto suo super vaccinato), aveva fatto un panegirico delle mense aziendali come usbergo della massima sicurezza. “Mi domando se chi ha deciso questa regola sia stato negli ultimi tempi dentro una mensa aziendale”, si è chiesto Landini. “Beh, dovrebbe andarci” perché “dopo i protocolli sulla sicurezza che abbiamo sottoscritto attraverso il distanziamento, l’uso delle mascherine, la sanificazione, lo smart working e diversi turni di lavoro, i luoghi di lavoro sono sicuri. Nessuno può sostenere che gli uffici o le fabbriche costituiscano oggi potenziali focolai per la diffusione del virus’’. Si vede che i 175 mila infortuni e i 600 decessi da covid-19 sono stati tutti contratti in itinere.
Ma il florilegio dell’inettitudine lo hanno prodotto i sindacati della scuola. Ben sei organizzazioni hanno varato una nota intitolata ‘’la scuola non si apre per decreto’’, nella quale si stigmatizzano i provvedimenti, severi, ma corretti ed opportuni, assunti dal governo per il personale scolastico che non presenta il green pass né il tampone negativo. L’indignazione degli estensori era tanta che non si sono neppure resi conto di una topica. “Ci si chiede ad esempio – è scritto nella nota – come tale obbligo (del green pass, ndr) si potrà estendere al personale precario, le cui prestazioni si richiedono nel giro di poche ore’’.
Ma davvero credono i sindacati che i precari stiano rinchiusi nelle loro abitazioni in attesa della chiamata della segreteria per sostituire un titolare – magari ‘’renitente’’ alla vaccinazione – e non abbiano l’accortezza – da persone normali consapevoli che possono lavorare solo se sono in grado di dimostrare la loro immunità al virus – di mettersi in regola con i requisiti occorrenti per entrare in una classe? Inoltre, questi insegnanti avranno pure una vita propria con altre frequentazioni e attività per le quali sono tenute a disporre del green pass e ad esibirlo quando devono farlo. Al posto dei leader sindacali starei in guardia: «Quos Deus perdere vult, dementat prius». Magari sarebbe consigliabile una scappata a Lourdes.
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