Roberto Calderoli, presidente della I Commissione Affari costituzionali del Senato
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NELL’Aula di Palazzo Madama dove si svolgono le sedute della I Commissione Affari costituzionali la luce è sempre accesa: «Il presidente Calderoli ci costringe a sessioni notturne e non si capisce perché, il Ddl 615 sull’autonomia differenziata è un disegno di legge ordinario. È stato legato in modo improprio alla sessione di bilancio perché altrimenti sarebbe stato sospeso». Chi parla è Alessandra Maiorino, senatrice M5S. Fino all’altro giorno non sapeva spiegarsi il perché di questa folle corsa impressa dal ministro delle Riforme, Calderoli, e dal presidente Alberto Balboni (FdI) per licenziare un provvedimento tanto caro alla Lega ma vissuto con mal di pancia dagli amici di Giorgia Meloni.
IL BARATTO DELL’AUTONOMIA COL PREMIERATO
La legge-quadro, la cornice della sospirata autonomia in salsa leghista, voluta da Calderoli, giaceva in stato pre-comatoso. Bocciata ripetutamente nelle audizioni, destinata a un infinito compimento come tutti i recedenti innumerevoli tentativi. Dopo aver raccolto il pollice verso delle istituzioni neutre e associazioni (Ufficio parlamentare di bilancio, Banca d’Italia, Upi, Anpci, Legambiente, Terzo Settore, Svimez, Sindacati confederali) e persino della Conferenza episcopale siciliana, è arrivato l’input. In pochi giorni si è arrivati ad approvare ben 9 articoli su 10. Moltissimi emendamenti cassati, cancellati in base all’articolo 81 perché avrebbero richiesto un maggior onere per le casse dello Stato. È rimasto in discussione il punto dolente dell’articolo 9: «Le misure perequative e di promozione dello sviluppo economico». In assenza di un apposito fondo (il ddl non lo prevede) parole come coesione, solidarietà sociale suonano a vuoto. Ma tant’è . Bisogna fare in fretta, licenziare il ddl autonomia, sloggiare, far posto alla “madre di tutte le riforme” che avrà un iter ben più complesso.
«Non escludo – prevede Maiorino – che si voglia chiudere in fretta, nel giro di qualche seduta e poi inviare il ddl in aula prima ancora della legge di Bilancio per concentrarsi sul ddl Casellati». Fin qui il retroscena: con la maggioranza disposta a fare le ore piccole, Giorgia Meloni ha preteso che i due provvedimenti vadano in parallelo. Sa bene che non troveranno la strada spianata. È lo scambio Premierato-Autonomia. Non era una supposizione del Quotidiano del Sud, ma un dato di fatto. Nessuno dei due avrà la precedenza sull’altro. Un gioco di incastri per piantare due bandierine in vista delle prossime elezioni europee.
Torniamo al ddl 615. L’articolo 8 prevede l’attribuzione di nuove funzioni purché non comporti maggiori oneri per la finanza pubblica. L’attuazione dell’autonomia non deve compromettere le risorse da attribuire alle altre Regioni. Un federalismo regionale simmetrico, previsto dalla Costituzione (art. 119, c. 5).
IL NODO DEI COSTI DELL’AUTONOMIA
Da qui la scelta di avviare una ricognizione delle funzioni (vedi la pagina accanto) che rilevino i diritti di cittadinanza, diritti civili e sociali. Il compito è stato affidato al Comitato Clep presieduto dal professor Sabino Cassese. Determinare per queste funzioni dei fabbisogni standard che riflettano i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e di conseguenza stabilire le risorse necessarie per finanziare le funzioni attribuite alle Regioni. Le intese preliminari al termine di questo lavoro saranno sottoposte all’esame parlamentare (art. 2). Principio base, il dato da cui non si prescinde, l’invarianza nell’allocazione delle risorse pubbliche tra i territori interessati dall’autonomia differenziata e quelli in cui le funzioni interessate resteranno sotto la responsabilità statale .
Ebbene, la relazione del Clep consegnata a Calderoli lascia intatto il nodo principale: i costi dell’autonomia. Quanto costerebbe allo Stato un federalismo asimmetrico, che oltretutto spaccherebbe l’Italia in due aumentando le disuguaglianze e penalizzando ancora una volta il Sud? Va detto che il cammino della squadra di esperti guidati da Cassese è nato male: ha perso subito per strada, per divergenze di opinioni, quattro dei 61 big – Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini, tutti calibri da 90 – si sono dimessi dicendo che «non vi erano le condizioni per partecipare ai lavori del Comitato».
I LEP QUANTIFICABILI NELL’AUTONOMIA DI CALDEROLI
Si è proseguito andando avanti a tappe forzate. Ma le conclusioni non sono forse quelle sperate. La Commissione ha individuato per le materie potenzialmente oggetto di devoluzione ben 223 Lep ispirati a criteri diversi. Lep “quantificabili”, per i quali è possibile calcolare il fabbisogno standard, cioè il costo, e poter erogare sul territorio; Lep “non quantificabili”, dove la valutazione potrà avvenire, ma solo in base alle scelte politiche, cioè alla “Cabina di regia” ed eventualmente, qualora non vengano rispettati i tempi, da un Commissario all’autonomia, non si capisce ancora scelto da chi, forse dallo stesso ministro Calderoli.
La relazione-Cassese fa riferimento ad altre tipologie di Lep: associati a prestazioni a standard, cioè a servizi erogati in modo continuativo; Lep storicamente legati al territorio, per esempio beni culturali e musei, patrimoni consolidati da gestire; Lep legati a obiettivi pluriennali connessi alla garanzia di diritti civili. E Lep che non si possono, misurare perché corrispondenti a prestazioni erogate da poteri pubblici. Un servizio non quantificabile – citiamo sempre la relazione – è relativo ai servizi comunali rivolti agli alunni della scuola dell’infanzia e della scuola primaria e secondaria di primo grado, alla mensa scolastica e al trasporto scolastico, incluso il servizio fornito agli alunni con disabilità. Ci sono poi materie che non si possono, per usare il neologismo coniato in commissione Affari costituzionali, “leppizzare”.
IL REBUS SCUOLA DELL’AUTONOMIA CALDEROLI
Insomma, un ginepraio da cui è difficile districarsi. Uno dei Lep non quantificabili riguarda proprio la scuola, l’istruzione, la materia che sta più cuore al presidente del Veneto Luca Zaia e al suo omologo lombardo Attilio Fontana. «Non può essere rappresentata – si legge nella relazione – la spesa regione per regione per il pagamento degli stipendi degli insegnanti». Pur essendo noto il numero degli stipendi e delle classi non si può calcolare la spesa per via della mobilità del corpo docente e delle differenze stipendiali in ragione degli anni di servizio. Contratti di insegnanti a tempo indeterminato di ruolo e supplenti a tempo determinato. Come calcolare quanto dovrà lo Stato dovrà sborsare? Non si sa, ma la folle corsa verso il nulla di Calderoli continua.
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