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Il ministro Roberto Calderoli

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C’E’ un disegno di legge che potrebbe spaccare in due il Paese. Per salvare le apparenze e non entrare in rotta di collisione con il Pnrr e con gli alleati di FdI è stata aggiunta in extremis la parola «coesione». E, per sovrabbondanza, anche le intese sottoscritte con le Regioni non dovranno «pregiudicare la promozione dello sviluppo economico sociale, la solidarietà sociale, la rimozione degli squilibri economici e sociali». La sostanza, però, non cambia. Pezze a colori per non dire che il vero scontro, quello già iniziato all’interno della maggioranza, sarà sulle materie da devolvere, una in particolare: l’Istruzione. Oggi il ministro agli Affari regionali, Roberto Calderoli, ha convocato la Conferenza Stato-Regioni e presenterà il testo ai governatori. Un blitz preparato a tavolino: l’autonomia differenziata servita in salsa leghista. Un disegno che non ha nulla a che vedere con le forme di federalismo, la strada maestra indicata dalla Costituzione.

IDENTITA’ FRANTUMATA

Un esempio su tutti: all’articolo 3 del disegno di legge Calderoli si rinvia il trasferimento delle funzioni e delle risorse devolute dallo Stato alle Regioni all’adozione dei Lep. Eccezion fatta per «l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’Istruzione e della Formazione». Ma se entro 12 mesi dalle intese i Livelli essenziali delle prestazioni non verranno definiti, le funzioni verranno trasferite lo stesso. Se a questo aggiungiamo che le risorse da destinare verranno assegnate in base al principio truffaldino della “spesa storica”, ecco che il piatto è servito. Tradotto in soldoni. il trasferimento armi e bagagli della Scuola, e dunque del relativo personale docente e non docente, vale circa 10 miliardi di euro. Un bottino che fa gola ai governatori. Altro che coesione, dunque: casomai divisione, frantumazione, frammentazione dell’identità nazionale. È questo che vogliono i meloniani?

SCUOLA DIFFERENZIATA

È in gioco un passaggio cruciale di questa fase iniziale della legislatura. La posta in palio è alta. Il risultato finale potrebbe scavare un solco ancora più profondo tra una regione e l’altra. La Sanità regionalizzata, il modello fallimentare che la pandemia ha fatto emergere in tutto il suo drammatico decorso, moltiplicato per ognuna delle materie oggetto di decentramento giacché il passaggio dalla “scuola del merito” alla “scuola differenziata” è molto breve. Calderoli ha già seminato di pedine il percorso del disegno di legge che porterà la sua firma e che noi per brevità abbiamo già definito “Porcellum 2”: dopo il suo ministero per gli Affari regionali avranno voce in capitolo il ministero dell’Economia (del suo collega di partito Giancarlo Giorgetti) e il ministero delle Infrastrutture (occupato ora in pianta stabile da Matteo Salvini). Un’onda verde per dare via libera a una riforma che spaccherebbe in due il Paese.

A decidere le risorse da destinare alle regioni (articolo 6) sarà una Commissione paritetica che «procederà annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti per ciascuna regione interessata». Dall’applicazione della legge non potranno derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica e – ovviamente – ogni Regione dovrà farsi carico in egual misura dell’eventuale risanamento dei conti pubblici. E non poteva essere diversamente. È garantita «l’invarianza finanziaria» per le regioni che non abbiano sottoscritto analoghe intese.

LA CORSIA PRIVILEGIATA DEI 3 MINISTRI LEGHISTI

Della corsia privilegiata si è detto. Il trio Calderoli-Zaia-Fontana vorrebbe che il disegno di legge-quadro recasse il minor disturbo possibile al manovratore di Palazzo Chigi e senza investire fino in fondo il Parlamento. Una partita di giro tra ministri leghisti e commissioni amiche per rivoltare come un calzino i principi di perequazione e solidarietà vergati dai padri costituenti o sulla Carta. C’è da chiedersi cosa ne penserà la Ue – che sta finanziando anche a fondo perduto la realizzazione di progetti, infrastrutture e opere destinate a ridurre il divario tra una regione e l’altra – di questo disegno di legge che va in direzione opposta e contraria. Ma questo è tutto un altro discorso.

Non c’è nessuna logica dietro tutto questo. C’è solo il patto firmato prima delle elezioni dalla coalizione del centrodestra: “concedere” l’autonomia differenziata a Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna in cambio del presidenzialismo. Un accordo scellerato, tanto più che di presidenzialismo per ora non si parla. E non si parla più neanche dei poteri speciali a Roma Capitale, altro tema caro alla Destra e sgradito ai leghisti, che sulla questione romana hanno sempre alzato le barricate.

PIU’ POTERI AL VENETO CHE ALLA CAPITALE

Chi dice che il tema dell’autonomia differenziata non va “scaricato sul governo” dimentica che per assurdo le regioni del Nord si troverebbero a gestire in totale autonomia più poteri della Capitale. Il sindaco di Roma depotenziato dopo il Giubileo, il governatore veneto con i caporali del comando, doge a tutti gli effetti. Come finirà? Molto dipenderà dalle scelte di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. La tattica attendista, l’idea di procedere per gradi, come proposto nei Comizi elettorali dal ministro della Difesa Guido Crosetto non è più praticabile. L’attivismo di Calderoli dimostra la volontà di forzare la mano e battere il ferro finché è caldo. Un braccio di ferro tra gli alleati di governo. Qualcuno si farà male.


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