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IL PNRR ha tra gli obiettivi anche quello di favorire l’aumento dell’occupazione femminile e giovanile in un Paese, l’Italia, che registra ancora enormi ritardi. Per raggiungere questo scopo, l’articolo 47 del decreto legge 77 del 2021 prevede un vincolo per aziende, società, imprese, cooperative che partecipano a gare di appalto e bandi finanziati con le risorse del Pnrr: almeno il 30% delle assunzioni deve riguardare under 36 e donne. Una clausola, però, quasi mai rispettata: infatti, secondo un monitoraggio effettuato dalla fondazione Openpolis su dati Anac, il 69% dei bandi Pnrr non prevede quote per giovani e donne. Solo il 28% degli avvisi pubblici prevede il vincolo di assunzioni di almeno il 30% di donne e giovani: meno di un bando su 3. Il restante 3% prevede quote occupazionali per giovani e donne, ma in varie misure che non necessariamente sono uguali o superiori al 30%.

LO SPIRITO DEL PNRR

«Come noto – si legge nel report – il Pnrr prevede tra le sue priorità trasversali interventi a favore dell’emancipazione di giovani e donne. E intende conseguirlo principalmente attraverso l’aumento del tasso di occupazione giovanile e femminile. Per questo l’articolo 47 del decreto legge 77 del 2021 ha disposto che vi fosse un vincolo per gli operatori economici (aziende, cooperative, società) interessati a partecipare alle gare d’appalto per i progetti finanziati con le risorse del Pnrr. In particolare l’articolo prevede che almeno il 30% delle assunzioni legate alla vittoria dell’appalto sia destinata a giovani sotto i 36 anni e donne. Sostanzialmente per gli operatori economici questo vincolo si sostanzia, al momento della stipula del contratto, nel deposito di una dichiarazione con cui l’azienda aggiudicataria si impegna ad assumere giovani e donne in quantità tale da rispettare la quota». Tuttavia, «come abbiamo verificato dai dati Anac – evidenzia Openpolis – l’ampia maggioranza (69%) dei bandi Pnrr pubblicati fin qui non prevede clausole occupazionali per giovani e donne. Ciò significa che in queste gare non viene neanche chiesto alle aziende di rispettare i vincoli di assunzione previsti».

Non solo: «Alla già scarsa presenza di queste clausole negli avvisi pubblici – si legge ancora – si aggiungono le eccezioni per cui le aziende non sono sempre tenute a rispettare le quote. Sono infatti ammissibili deroghe qualora l’oggetto del contratto, la tipologia, la natura del progetto o altri elementi indicati dalla stazione appaltante (come il tipo di procedura, il mercato di riferimento, l’entità dell’importo) rendano la clausola inapplicabile o contrastante con determinati obiettivi. Cioè quelli di universalità, socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio e di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Sta alla stazione appaltante decidere di avvalersi o no della deroga e comunicare la sua decisione ad Anac, specificando i motivi che l’hanno portata a questa decisione».

TROPPE DEROGHE

Le circostanze in cui è ammessa la deroga alla quota di assunzioni appaiono molto ampie e, di fatto, rendono inefficace la clausola. D’altronde i dati parlano chiaro. «Già nel 2022 – ricorda Openpolis nel rapporto – una relazione del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) parlava di deroghe “troppo generiche e tali da fornire ampi margini di disapplicazione”.

A ciò si deve aggiungere che, anche dove prevista, questa clausola ha comportato dei problemi». In molti casi, infatti, le gare sono andate deserte, specie nel settore edilizio, dove generalmente la presenza di manodopera in particolare femminile è abbastanza ridotta. E i dati Istat non sono incoraggianti: l’Istituto ha pubblicato i primi dati provvisori del 2023 relativi all’occupazione in Italia. Il bilancio è positivo in termini di crescita dell’occupazione stabile e della maggiore inclusione delle donne, meno per l’occupazione giovanile.

L’OCCUPAZIONE IN CIFRE

Ma vediamo i numeri. Il dato peggiore è quello relativo all’occupazione giovanile: il tasso di occupazione degli under 25 e nella fascia d’età successiva, tra i 25 e i 34 anni, è calato dello 0,3%, mentre è aumentata sia la disoccupazione sia l’inattività. Il tasso di disoccupazione degli under 25 è risalito al 22,9%, tra i peggiori a livello internazionale (l’Italia è davanti solo a Spagna e Grecia). Il trend positivo riguarda invece soprattutto la fascia centrale del lavoro (35-49 anni e 50-64 anni). Meglio i dati relativi all’occupazione femminile: a gennaio l’Istat ha contato, su dicembre 2022, 35mila occupati in più, di cui 30mila sono donne. L’occupazione femminile, da gennaio 2022, conta un +246mila. Il tasso di occupazione è salito al 60,8% complessivo (per le donne +51,9%, per gli uomini 69,7%). Il numero totale di occupati ha toccato quota 23.309.000, il dato più alto dall’inizio delle valutazioni storiche mensili (gennaio 2004).

Degli occupati, 15.335.000 sono dipendenti a tempo indeterminato (+464mila da gennaio 2022), mentre i dipendenti a termine sono calati di 50mila unità rispetto allo scorso anno. Come si può notare, il mercato del lavoro, in valori assoluti, mostra segnali di ripresa, come conferma anche la diminuzione degli inattivi, che registrano una percentuale del 33,7%, una delle più basse di sempre.


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