Il ministro per il Sud Mara Carfagna
6 minuti per la letturaDICIASSETTE punti percentuali misurano la distanza tra Nord e Sud in termini di tasso di variazione del Pil tra il 1996 e il 2019 e lo stato d’abbandono in cui i territori meridionali sono stati lasciati per anni, complici anche le scelte di politica economica adottate di fronte alla lunga crisi 2008-2013 che hanno ampliato il divario.
La previsione di una crescita del Pil del 2,8% nel 2022, contro una media italiana del 2,5%, alla pari con il Nord-Est, raccontano la resilienza e le potenzialità del Mezzogiorno su cui si innesta la scommessa del Pnrr che punta a riavviare la convergenza tra le due aree da cui dipende la crescita non solo del Mezzogiorno ma dell’intero Paese. Lo ribadisce il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, inaugurando i lavori del convegno “Il Pnrr e il Mezzogiorno che verrà” organizzato dall’associazione a Bari: «Se non riparte il Sud non riparte il Paese e il Pnrr rischia di rimanere una lista di desiderata». E se il Pnrr non funzionerà, sostiene il leader dei commercianti, «il primo a perdere è proprio il Mezzogiorno».
Lo spiegano i numeri messi nero su bianco nel rapporto e nelle tabelle dell’Ufficio studi di Confcommercio che il Pnrr ha l’ambizione e la missione di correggere. Dal 1996 al 2019 il Pil del Nord è cresciuto di oltre il 20%, mentre il Sud si è fermato al 3,3%: lo scarto è quindi di circa 17 punti «un abisso in un quarto di secolo», evidenzia il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, imputabile alla produttività del lavoro (che varia di quasi il 10% al Nord contro il 6,2% nel Mezzogiorno) – che dipende dagli investimenti per occupato che sono sopra i livelli degli anni ‘90 al Nord, con gli investimenti pubblici che se sono ripartiti nel Nord nel 2016 non altrettanto è accaduto al Sud -, al tasso di occupazione (+0,3% al Nord e -0,8% al Sud) e alla dinamica demografica (il Nord cresce del 9,3% come abitanti, quelli del Sud scendono del 2%) che, sostiene Bella, «è la causa dell’accumulato ritardo del nostro Sud: «O si aggiustano questi trend demografici o qualsiasi intervento risulterà inefficace».
Dal 2007 ad oggi, evidenzia lo studio, il Meridione ha perso 800mila residenti. Le “fughe” riguardano anche il Settentrione, anche se in misura minore, che da terra di approdo per l’emigrazione meridionale è ora base di partenza verso altri Paesi che della formazione dei giovani italiani, meridionali soprattutto, beneficiano in termini di contributo all’incremento del Pil. Sul turismo, sottolinea il presidente Sangalli, si gioca una partita importante per il rilancio del Sud «perché se avesse la spesa di turisti stranieri del Centro Italia, avrebbe 10 miliardi in più di Pil». Le risorse del Pnrr destinate al settore, secondo il leader di Confcommercio, non sono però sufficienti. E al di là di questo, sostiene, manca una strategia che deve poggiare innanzitutto su un sistema di regole come quelle che invoca a salvaguardia dei balneari, vexata quaestio nell’ambito del ddl Concorrenza – che sarà votato in Senato il 30 maggio -, in modo da garantire «un giusto indennizzo e un congruo periodo transitorio».
Per il direttore di Svimez, Luca Bianchi, gli strumenti a disposizione delle imprese sono “strategici” per il successo del Pnrr al Sud. «Bisogna modellare gli strumenti di politica industriale per cogliere il potenziale di crescita che esiste nel sistema produttivo», afferma evidenziando come nel Mezzogiorno ci sia «un piccolo mondo di piccole e medie imprese che è sopravvissuto alle crisi procedenti e si è rafforzato» e che «è un attore dello sviluppo indispensabile». «Una prospettiva di sviluppo del Mezzogiorno – sostiene – si potrà avere solo se il Pnrr riuscirà ad ampliare quel gruppo di imprese, metterlo a sistema e costruire su questo politiche mirate».
La ministra per il Sud, Mara Carfagna, sottolinea intanto la portata degli interventi messi in campo dal governo con il Pnrr per promuovere «lo sviluppo e la crescita del Mezzogiorno», dagli investimenti nelle infrastrutture e suoi porti al rilancio delle Zes con cui si mira «fare del Sud la piattaforma logistica del Mediterraneo». Il lavoro del governo, afferma, punta a far sì che «le ingenti risorse che ci arrivano dall’Ue servano davvero a ridurre i divari nelle infrastrutture, nei servizi, nei diritti, nelle opportunità, nel tessuto economico e produttivo. E la scelta di destinare alle regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente è indicativa di come il governo intenda utilizzare questi fondi per favorire la ripresa di un processo di convergenza», dice, sottolineando poi l’impegno a tener vivo il dialogo con il territorio.
L’obiettivo, aggiunge poi, è quello di «costruire nell’arco di 5-10 anni un Sud più connesso, capace di attrarre investimenti, valorizzare il capitale umano e offrire servizi all’altezza delle aspettative ai suoi cittadini». Rispettare gli impegni del Pnrr «assunti nel nostro interesse e non perché siamo eterodiretti», afferma poi alludendo alle fibrillazioni di questi giorni tra le forze politiche su alcune delle riforme chiave del Pnrr – concorrenza e fisco – è essenziale per non perdere i fondi europei. «È un impegno che dobbiamo condividere – afferma – una battaglia collettiva che vede insieme governo, Regioni, enti locali, ma anche categorie produttive e parti sociali». La stabilità del governo è essenziale, sostiene dal canto suo il sindaco di Bari, Antonio Decaro che in qualità di presidente dell’Anci si fa portavoce delle preoccupazioni dei suoi colleghi, mentre dal punto di vista operativo registra un cambio di passo: «Le procedure del Pnrr sono più veloci. Cominciano ad arrivare le prime risorse, le assegnazioni sono state abbastanza rapide rispetto ai tempi del nostro Paese».
Di fronte alle ingenti risorse da gestire, tra Recovery e programmazione dei fondi strutturali, il tema “critico”, sottolinea, è il rischio di «un ingorgo dal punto di vista amministrativo»: «Speriamo di avere le risorse umane per dare attuazione alla spesa di questi finanziamenti che ci permetteranno di vivere in un Paese più giusto rispetto a quello che abbiamo lasciato nel 2019 prima della pandemia», afferma annunciando intanto che a Bari «dovrebbero esserci 100 assunzioni». C’è poi il problema dell’aumento dei costi che, dice Decaro, «porterà alla rimodulazione di alcuni interventi o a chiedere risorse complementari». Il tema dei costi, secondo il presidente del Cnel, Tiziano Treu, impone il rafforzamento del Piano: «Gli ultimi investimenti – sostiene – sono proprio diretti all’aggiornamento dei prezzi. Mi auguro che non peggiorino ulteriormente le cose».
A impensierire il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, sono invece soprattutto le condizioni di contesto tra inflazione, energia alle stelle e guerra in Ucraina: «Speriamo di riuscire a reggere i tempi previsti perché, con questa ulteriore previsione di recessione, siamo nella tempesta perfetta: abbiamo inflazione da un lato e scarsità di offerta dall’altro. È una delle peggiori situazioni in economia. In questo contesto abbiamo la fortuna di avere alla guida dell’Italia questo Presidente del Consiglio. Come dico sempre: sono dalla sua parte anche quando non sono d’accordo», afferma.
E poi torna a lamentare l’esclusione delle Regioni dalla discussione sul Pnrr e puntare il dito contro l’uso dei fondi europei per coprire investimenti già finanziati: «Sulla Napoli-Bari c’era un miliardo e seicento milioni, si sono ripresi questa somma e hanno messo i soldi del Pnrr. Il vero pericolo per il Mezzogiorno non è che non assegnino il famoso 40% – sostiene – ma che facciano questo giochetto».
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