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GIOVANI e web è diventato ormai un connubio indissolubile. Per molti ragazzi lo smartphone è una sorta di estensione del proprio corpo. Demonizzare in modo generalizzato il fenomeno ormai capillare è facile, più complesso è formulare analisi che ne individuino singole criticità.
Una di queste è stata messa in luce da una ricerca di Telefono Azzurro in collaborazione con l’azienda di ricerche di mercato Doxa. Ebbene, il 68% dei giovani ha fornito nome e cognome sui social e, di questi, il 79% altri tipi di informazioni come età, indirizzo mail, scuola frequentata. L’uso ormai sistematico dei device rischia dunque di abbattere lo scudo rispetto alla propria sfera privata che ognuno, soprattutto i giovani minorenni, dovrebbe avere.
La ricerca è stata condotta lo scorso luglio su un campione di 800 giovani tra i 12 e i 18 anni, e presentata il 16 novembre a Roma al convegno “Cittadinanza Digitale: più consapevoli, più sicuri, più liberi”, un progetto formativo realizzato da Telefono Azzurro con il supporto di Google.org. Un impulso alla navigazione su internet è stato dato dalla pandemia, dal lockdown e dalle scuole chiuse: così dalla primavera del 2020 a oggi è aumentata la probabilità di incorrere in rischi sulla Rete, poiché viene passato troppo tempo sui social e a giocare con i videogiochi.
Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro, come riporta “Quotidiano Sanità”, ha affermato in conferenza stampa che «il digitale è uno strumento di crescita per la vita professionale, sociale e di ogni giorno, ma richiede competenze che devono essere acquisite a scuola e in famiglia». Di qui il progetto di Telefono Azzurro che ha ricevuto i complimenti del ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao. Il problema, secondo Guido Scorza, membro dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, è che per molti la privacy, anziché essere considerata un diritto da difendere, è «un ostacolo o intoppo burocratico, come ha detto qualche politico».
Eppure i campanelli d’allarme suonano periodicamente: uno risale a qualche settimana fa, quando l’Osservatorio Cyber, a seguito di una ricerca, ha confermato che nella prima metà dell’anno in corso sono stati oltre un milione gli alert ricevuti da utenti italiani relativamente a un attacco informatico (+56,3% rispetto al 2020). Indicativo che tra i soggetti meno esposti vi siano gli under 30 (il 6,5% del totale di coloro che hanno ricevuto alert). Segno di una maggiore dimestichezza con il digitale, che andrebbe però maggiormente impiegata per tutelare la propria privacy.
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