Andrea Cangini
5 minuti per la letturaFra gli addii illustri che nei days after la sfiducia al governo Draghi hanno segnato Forza Italia c’è quello del senatore Andrea Cangini, giornalista, ex direttore de Il Resto del Carlino e QN Quotidiano Nazionale che, dopo aver confermato il suo appoggio all’esecutivo in dissenso dal partito restando in Aula a differenza degli altri forzisti e aver pronunciato un discorso molto duro in Parlamento – volto soprattutto a denunciare l’abbraccio mortale con la Lega di Salvini – ha deciso di aderire ad Azione di Carlo Calenda.
«Ho sempre sostenuto la mia posizione nelle riunioni di partito con forza e fuori con chiarezza: il nemico della politica è la demagogia e Salvini è il peggiore dei demagoghi. Non crede in nulla, non ha alcuna radice culturale o politica, è capace di tutto e non ha alcun senso dello Stato e delle istituzioni, è lontano non soltanto dal metodo liberale ma anche da ogni idea di destra e di centrodestra e dall’interpretazione di un’idea conservatrice», è il giudizio tranchant di Cangini sul leader del Caroccio e sull’approdo “salviniano” del suo (omai) ex partito.
Senatore Cangini ma lei si aspettava questo epilogo da parte di Berlusconi, da sempre grande sponsor di Draghi?
«Sì, me lo aspettavo anche se quello che è successo è inspiegabile. FI ha voluto seguire la Lega e affossare Draghi: i grillini si erano già tirati fuori, che senso aveva che FI e Lega li nobilitassero dicendo di volere una maggioranza senza di loro? Salvini e Berlusconi, dal momento in cui Conte ha aperto la crisi, hanno deciso di non votare la fiducia a Draghi per permettere a Salvini di non perdere ulteriori consensi a favore di Giorgia Meloni – che in ogni caso prenderà il doppio dei suoi voti -. Se si fosse votato fra sei o otto mesi, cioè a scadenza naturale della legislatura, avremmo avuto un Paese parzialmente risanato, un quadro politico nazionale ed internazionale più stabile, una finanziaria solida che avrebbe impostato Draghi e saremmo arrivati alle elezioni con un’offerta politica auspicabilmente più credibile. Cinque anni fa accettai la candidatura nelle file di FI perché ritenevo di entrare in un partito che avrebbe svolto una funzione decisiva per costituire un centrodestra con credibilità di governo, che era già allora il problema del centrodestra e di conseguenza il problema del Paese. Ad oggi invece non esiste una classe dirigente che possa essere rispettata agli occhi dell’Europa, del mondo e dei partner finanziari. FI e Salvini si sono comportati esattamente come Conte e i grillini».
Però Berlusconi si è giustificato dicendo che probabilmente Draghi era stanco e ha colto la palla al balzo per andarsene. Che ne pensa?
«Io penso che sia vero che Draghi se ne volesse andare: è stato chiamato in virtù della sua incontrovertibile autorevolezza, perché appunto era ‘Mario Draghi’, poi improvvisamente essere ‘Mario Draghi’ è diventato un problema proprio agli occhi di chi lo aveva chiamato. È paradossale».
Non mi sembra però che anche altrove manchino i problemi. Il campo largo auspicato dal segretario dem è andato in frantumi e le grandi manovre al centro in nome di un’agenda Draghi (senza Draghi) di un generico anti populismo, per ora sono molto confuse. Che ne pensa?
«Innanzitutto non è che Letta in questi mesi non abbia fatto esibizione di populismo, il populismo può essere anche di sinistra. Io ho deciso di aderire ad Azione perché ritengo che mai come oggi vi sia bisogno di persone che hanno coraggio e visione nella dilagante cialtroneria e ritengo che l’unica possibilità concreta sia rappresentata da Carlo Calenda. Per prima cosa Calenda studia e approfondisce i problemi, la politica è più di una professione: richiede competenza, conoscenza, dedizione, passione e Calenda la fa per passione civile non certo per lucro, non ne ha bisogno. Ha posizioni liberali, libertarie e rigorose sui temi, un approccio pragmatico: non si limita a denunciare i problemi, li studia e indica le soluzioni, ha una sua indipendenza e sono convinto che proprio in virtù di questa sua posizione estranea alle logiche di stare insieme a tutti i costi, del potere fine a se stesso, porterà al voto anche chi in queste condizioni sarebbe orientato a disertare le urne, visto che in Italia abbiamo anche un problema di democrazia e di sfiducia nella politica».
Appunto, l’astensionismo. Che alle prossime politiche sarà rafforzato anche da quanti avrebbero voluto che il governo Draghi rimanesse in carica. Secondo lei, oltre al M5s, anche FI e Lega saranno danneggiate per aver contribuito a mandare a casa il premier?
«Gli italiani non hanno capito i motivi di questa crisi di governo e sono stanchi della cialtroneria dilagante ma se come temo l’affluenza alle urne sarà bassa il centrodestra avrà comunque percentuali alte. Per questo motivo sarà fondamentale in queste poche settimane di campagna elettorale spiegare la gravità di quello che è successo e creare offerte politiche serie e responsabili, votabili da chi ha la nausea per la politica, sia quella di centrodestra che di centrosinistra».
Il Pd pagherà la sua ambiguità nei confronti dei 5Stelle? Letta fino alla fine ha tentato di recuperare Conte, motivo per cui lo stesso Calenda è molto perplesso su un’eventuale alleanza…
«Il Pd è un partito con una forte crisi di identità, si trova in una situazione balcanizzata. Credo che necessariamente dovranno esserci al suo interno dei chiarimenti fra le varie anime, come del resto all’interno della Lega: Giorgetti e i governatori leghisti avrebbero dovuto avere più coraggio in questa situazione, con maggiore attenzione alle necessità del Paese in un momento di grande difficoltà economica».
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