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Secondo le stime, nel 2021 le famiglie in povertà assoluta sono poco più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), circa 5,6 milioni gli individui (il 9,4%, dato stabile rispetto all’anno precedente) e 1,4 milioni i minori (pari al 14,2%). I dati rilevati confermano il massimo storico toccato nel 2020, la cui stabilità è dovuta a fattori quali un incremento della spesa per consumi delle famiglie sostanzialmente contenuto (+1,7% per il 20% delle famiglie con capacità più bassa) non sufficiente a compensare la quota di inflazione (pari al +1,9% nel 2021).
La povertà assoluta è più alta nel Mezzogiorno, pari al 10% (+0.6% rispetto al 2020), mentre la quota più alta di famiglie povere, pari al 47%, risiede al Nord. Sempre nel Mezzogiorno cresce maggiormente l’incidenza della povertà individuale, che raggiunge il 12,1%.
La povertà familiare presenta un andamento decrescente all’aumentare dell’età della persona di riferimento: le famiglie di giovani hanno minori capacità di spesa poiché i redditi percepiti sono più bassi e hanno minori risparmi accumulati oppure beni ereditati. La povertà assoluta riguarda infatti il 9,4% delle famiglie con persone di riferimenti tra i 18 e i 34 anni e la generazione under 35 possiede il reddito pro capite più basso di sempre, con una tendenza pressoché contraria poiché gli altri Paesi europei registrano invece una crescita dei salari.
A questi dati è utile affiancare le riflessioni – e le polemiche – delle ultime settimane sul reddito di cittadinanza e il salario minimo. Lungi dal definire il reddito di cittadinanza quale misura di welfare perfetta e funzionante, ha di certo sopperito alle difficoltà del mercato del lavoro e dato il via a un dibattito – quello sulla povertà – verso cui la classe politica italiana reagisce da sempre con diffidenze e divisioni. Solo negli ultimi vent’anni, infatti, le misure di questo tipo nel nostro Paese hanno portato ad almeno una decina di provvedimenti, nessuno dei quali ha avuto lunga durata. La lezione che avremmo dovuto imparare è che le guerre ideologiche non servono a molto e che politiche di questo tipo necessitano di interventi periodici sulla base dell’esperienza e dei cambiamenti nel tessuto socioeconomico.
Sul fronte del salario minimo, invece, il 98% dei lavoratori e il 99% delle aziende sono già coperte dalla contrattazione collettiva che prevede livelli minimi retributivi, ma vi sono zone grigie e non sono pochi i salari inferiori ai 9 euro. Da bamboccioni a choosy, fino a poveri: i giovani italiani negli ultimi anni sono stati tacciati di pigrizia e pignoleria, ma sono finiti a pagare il prezzo di crisi economiche cui non si riesce a dare risposte concrete, soprattutto nelle zone del Paese più fragili.
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