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Giorgio Bracardi

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Ermanno Catenacci che è il numero uno, va dritto al punto: “E giù manganellàtte!”. Fiero d’occhio, a passo svelto, il gerarca Catenacci non rinnega e non restaura. “Ducce-Ducce-Ducce!” è il suo respiro. Pantaloni alla zuava, cinturone della milizia, stivaloni e bretelle su pullover nero Catenacci imbraccia una fisarmonica e fa volare le note di Faccetta nera. Il pubblico di Alto Gradimento si sganascia dalle risate. È la trasmissione radiofonica di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni e tutti ridono perché Catenacci è nato quando c’era Lui. E quando c’era Lui era tutto uno sbattere di tacchi – tic, tac, tic, tac – e c’era tutta un’adunata di qua, un’adunata di là, un’adunata di su e un’adunata di giù con Lui sempre in mezzo, gra-ni-ti-co, a dar disposizioni.

E Catenacci lo sa spiegare perché oggi nessuno si affaccia dal balcone, perché ormai l’Italia è fatta di uomini brutti, pallidi, con gli occhiali, e i denti gialli. Nessuno si affaccia dal balcone perché – insomma – non ci si può affacciare coi pugni ai fianchi e, contemporaneamente, tenere in mano il foglietto per leggere il discorsetto: “…e perché noi, la democrazia…”. Parlano e sputano, i democratici, e sempre spruzzando saliva dai loro dentacci gialli. I giornalisti del telegiornale devono mettere il tergicristallo quando vanno a intervistarli.

Così dice Catenacci. Ride anche il pubblico di Raffaella Carrà, nel programma di varietà tivù Rai “Ma che sera”. Lei stessa ride, è il 1978 e ancora non rischia. Giorgio Bracardi – il comico che interpreta Catenacci – fa il suo spettacolo e, insomma, resta a piede libero. Lo facesse oggi, Giorgio Bracardi, si ritroverebbe esposto al ludibrio, appeso in effigie a testa in giù nel frattempo che il dibattito politico e culturale, tutto di soggezione della destra verso la sinistra – per non dire di quello storiografico suggellato dal pensiero unico – arriva e si ferma al livello di Techetecheté. “E giù manganellàtte!”.


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