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Il canto di Natale più struggente è quello alla buona di musicanti raccogliticci, chiamati dal bisogno di fare per come s’è sempre fatto – cantando, suonando – pescando da un repertorio senza spartito. Senza pentagramma, dunque, e senza forma alcuna se non per sentito dire. Un canto di Sicilia tramandato oralmente di generazione in generazione – così si fa a Leonforte, agli angoli delle strade – e accompagnato dunque da importanti fiati, da impertinenti trombe e gioiosi flauti intorno a una Natività circonfusa di pungitopo, carta stellata, fiocchi d’ovatta a far neve e luminose arance a contornare il tutto, a significare le proletarie palle di Natale. Buone da mangiare dopo, per la festa di Gesù, il Figlio di Maria.


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