Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il premier Mario Draghi
4 minuti per la letturaContinua la politica della confusione, tranne che sul fronte Draghi, dove si procede senza perdere tempo dietro le volontà di palcoscenico di capi, capetti e gregari dei vari partiti.
Il premier ha un sostegno importante da Mattarella, che continua a vigilare attentamente sui tentativi di piccoli colpi di mano che arrivano ogni tanto. Si è espresso con forza sulla pessima abitudine del parlamento di usare qualsiasi occasione di decreto per infilarci dentro quel che passa per la testa di questa o quella piccola lobby.
Non ha bloccato il testo dell’ultimo decreto Ristori per non privare della possibilità di far giungere i sostegni a chi li aspetta da tempo, ma non ha accettato di essere complice silente delle “manine” che hanno infilato dentro come ristori roba come per esempio il sussidio alle locomotive storiche delle FS.
Altrettanto ha fatto a fronte dello spudorato intervento di una commissione del CSM, guidata da un membro indicato da M5S, di esprimere un parere non richiesto sulla sola parte della riforma Cartabia che trattava della prescrizione. Da episodi come questi si potrebbe desumere che il governo Draghi sia ingaggiato in un complesso confronto parlamentare, ma non è così. In contemporanea il provvedimento che organizza la gestione del PNRR (le diverse cosiddette cabine di regia) è passato con la sola opposizione di FdI, tutti gli altri favorevoli. Eppure non era esattamente una normativa di scarso rilievo.
Esagerando un poco, possiamo dire che quest’ultimo episodio può essere considerato emblematico: quando ci sono di mezzo i finanziamenti del PNRR i partiti si ridimensionano. La sostanza della faccenda è che vanno benissimo (si fa per dire) le baruffe a pro di una campagna elettorale che peraltro è sentita solo dai partiti e dai loro fan club, ma quando poi si deve stringere, ad aprire una crisi di governo non ci pensa seriamente nessuno.
La ragione è semplice: in quel caso non si andrebbe ad elezioni anticipate (c’è il semestre bianco), ma chi rompe dovrebbe rinunciare ai suoi ministri, cioè essere fuori della cabina di regia centrale che sovrintende all’uso dei quattrini che arriveranno da Bruxelles.
Non ci pensa nessuno, tranne chi si è comunque posto già fuori come la Meloni, che però non ha la forza per provocare la crisi. Salvini ingoia la reprimenda di Draghi alle sue pulsioni “libertarie” a pro di una minoranza di scriteriati che si esalta pensando di difendere sacri principi (per favore, smettiamola di dire che meritano comunque considerazione). Insiste per onor di bandiera in quelle intemerate, ma si guarda bene dall’abbandonare le stanze del governo coi suoi ministri (che si astengono dall’assecondarlo, anche questo andrebbe notato).
Quanto ai Cinque Stelle il loro quasi presidente mantiene una posizione ambigua, comprensibile perché deve farsi votare nella maniera più plebiscitaria possibile, ma lontana dal porre qualsiasi tipo di vero aut aut. La formula del “miglioramento” della riforma Cartabia è una frase grimaldello buona per tutte le interpretazioni: chi potrebbe rifiutarsi di migliorare un provvedimento? Il problema è se quel che ad uno sembra un miglioramento lo sia davvero, e se soprattutto convinca anche tutti gli altri partner del governo. Questo è praticamente impossibile in una coalizione ampia in cui sono tutti l’un contro l’altro armati, sicché tutto si regge finché non viene messo in discussione per dare vantaggio ad una sola componente.
Siccome anche nel caso dei Cinque Stelle rompere significherebbe rinunciare a posizioni rilevanti di potere nel governo e nei suoi dintorni (e loro hanno mostrato di aver imparato presto come piazzarsi anche nei dintorni), ecco che ci pensano subito i loro ministri di peso a far sapere che l’accordo alla fine si troverà, il che banalmente significa che si accontenteranno di quel poco che può passare l’attuale convento.
Conte in tutto questo sta coi governisti o con gli altri? Pensiamo che al momento stia con entrambi. Con i primi perché capisce bene che la politica è potere e se rinunci a quello che hai diventi poco interessante nel gran contesto di riposizionamenti che arriva col PNRR. Con i secondi perché ha bisogno anche del loro supporto e dei loro voti per divenire infine il presidente di quel nuovo M5S che ha in ballo un accordo politico col PD per restare centrale nel futuro della politica italiana.
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