Giorgia Meloni
6 minuti per la letturaIl Governo Meloni nella manovra per la Legge di Bilancio 2023 prevede il taglio di due punti del cuneo fiscale per un solo anno per i redditi fino a 35mila euro. Mentre sarà del 3% per i lavoratori che percepiscono uno stipendio inferiore a 20mila euro. Uno stipendio di tredici mensilità, non superiore a 1.538 euro, maggiorato, per la competenza del mese di dicembre, del rateo di tredicesima.
Una misura quella del taglio del cuneo fiscale invocata sempre sia dalle organizzazioni datoriali, per far pagare meno tasse alle imprese, sia dai sindacati per mettere più soldi nella busta paga dei lavoratori.
Ma, come si dice, a ben vedere, il diavolo si nasconde nei dettagli. E i dettagli spesso fanno la differenza per valutare quanto guadagnerà il lavoratore, quanto risparmieranno le imprese e quanto costerà allo Stato.
Anzitutto partiamo dalla nozione. Cos’è il cuneo fiscale? E’ la differenza tra quanti soldi “lordi” un’impresa versa ad un dipendente e quanti se ne trova poi in busta paga quel lavoratore, netti Il cuneo fiscale, dunque, misura il “peso” delle tasse sul lavoro: cioè i contributi a carico dei dipendenti, quelli a carico del datore di lavoro e le imposte sul reddito.
Nel nostro Paese il suo peso è del 46,5%, uno dei dati più elevati tra i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Significa che per ogni 100 euro pagati dall’impresa al dipendente, quasi la metà, 46,50 euro, vanno in tasse. Questa misura costa allo Stato 4,185 miliardi di euro, e prevede l’esonero contributivo del 2% per i redditi fino a 35mila euro lordi e del 3% per i redditi fino a 20mila euro lordi. Il taglio di due punti per i redditi fino a 35mila euro di retribuzione lorda, per tutto il 2023, fu una misura del Governo presieduto da Mario Draghi. Il Governo Meloni, come detto, ha aggiunto un taglio dell’1% per i soli stipendi fino a 20mila euro.
Nel 2022 gli unici a beneficiarne sono stati i dipendenti, con un guadagno crescente: il taglio nei primi sei mesi era dello 0,8%, salito poi al 2% per volontà del premier Draghi, pressato dai sindacati, nella seconda metà dell’anno con la crisi energetica e l’esplodere del prezzo del gas.
Per quanto auspicabile, non era scontato che all’interno della Finanziaria 2023 trovasse posto il rinnovo di questa misura che, al momento, come detto, non è strutturale. Se consideriamo anche questi due punti, chi guadagna 20mila euro ne avrà all’incirca 33 in più al mese (rispetto però alla busta paga del 2021), mentre per le retribuzioni lorde di 35mila euro la riduzione del prelievo è di quasi 33 euro mensili (ancora una volta rispetto al 2021).
Insomma, se per i redditi compresi tra 20mila euro e 35mila rispetto a quanto percepito nel 2022 non cambierà assolutamente nulla, è anche vero che senza un intervento del Governo per questi lavoratori il cuneo fiscale sarebbe tornato ad aumentare e il loro stipendio sarebbe diminuito.
La formula “due terzi, un terzo” è certamente quella reclamata a gran voce dalla Confindustria, presieduta da Carlo Bonomi da applicarsi a un taglio che lui avrebbe voluto – sin dai tempi di Mario Draghi – più ampio, di 5 punti pari a 16 miliardi. Ma è una formula osteggiata dai sindacati, schierati per un sostegno strutturale ai salari che aiuti i lavoratori, soprattutto quelli più poveri, in grande difficoltà con buste paga mangiate dall’inflazione al 12% e le super bollette da pagare.
Gli aumenti degli stipendi, dopo il taglio del cuneo contributivo, saranno dunque piuttosto modesti. Nelle tasche dei lavoratori, infatti, andranno dai 20 ai 33 euro in più al mese. Ma, assicura il Governo, non impatteranno sui conti per la pensione futura: “Tenuto conto dell’eccezionalità della misura di cui al primo periodo – viene scritto nelle motivazioni che illustrano la misura – resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche”.
Nel Decreto legge del 2020 il Governo Conte II estendeva il bonus introdotto in precedenza dal Governo guidato da Matteo Renzi (in passato aspramente criticato dal Movimento 5 Stelle) anche ai redditi fino a 28mila euro, laddove il limite precedente era di 26.600; inoltre ne incrementava l’importo da 80 a 100 euro. Per i redditi superiori a 28mila euro era stata prevista una detrazione: il beneficio effettivo, pari a circa 100 euro per i redditi di 27-28mila euro, scendeva progressivamente fino ad arrivare a 80 euro per chi guadagnava 35mila fino ad azzerarsi a 40mila.
Cosa ne pensano gli economisti? “Il tema del cosiddetto “cuneo fiscale”, cioè la differenza fra il costo del lavoro sostenuto dall’impresa e il salario netto percepito dal lavoratore è frequentemente al centro dell’attenzione nel dibattito sulle politiche economiche. La riduzione dei contributi sociali pagati dal lavoratore (sostituiti con un trasferimento all’Inps da parte della fiscalità generale) a favore di un aumento dei salari netti, può fornire un sostegno al potere d’acquisto delle famiglie” dice Fedele De Novellis (Direttore REF Ricerche). Che obietta però che sia “stato un errore incrinare il legame fra i contributi versati dal lavoratore e i diritti pensionistici maturati di lavoratori. In un sistema come quello italiano la rottura di questa relazione rappresenta un’incrinatura che costerà molto ai lavoratori dipendenti. Futuri interventi potrebbero ulteriormente andare a caricare l’Inps di prestazioni da erogare a soggetti che non hanno versato contributi adeguati rispetto ai diritti maturati. Questo poi si scaricherebbe indirettamente sulla capacità di erogare prestazioni adeguate a chi ha versato regolarmente”.
“È molto tempo che si parla della necessità nel dibattito complessivo su quella che doveva essere la riforma dell’esazione fiscale soprattutto per le piccole e medie imprese di ridurre il costo del lavoro. Che soprattutto grava più che sul salario, sulla tassazione che si esercita su di esso” dice dal canto suo Giulio Sapelli, economista, storico e accademico, che si dice entusiasta della misura. “La cosa più interessante della misura è che sarà pagata per due terzi dall’impresa e solo per un terzo dai lavoratori. Questo farà sì che non verranno meno i contributi pensionistici che si accumulano negli anni per i lavoratori”. “Secondo me questo rivela da parte di questo Governo un’attenzione verso le Pmi”.
La misura del taglio del cuneo fiscale deciso dal Governo Meloni, però, è temporanea. Durerà infatti, come detto, solo per il 2023. E poi? “Spero che la rinnovino e la rendano permanente”. Ma a chi conviene davvero? Conviene ai lavoratori soltanto? “No, a breve ai lavoratori, ma nel medio-lungo periodo anche alle imprese” risponde Sapelli. “Le imprese hanno bisogno che i loro lavoratori abbiano dei salari che non siano insufficienti in media come sono oggi e si sentono anche tutelati dal loro punto di vista che la loro prestazione lavorativa non potrà che esserne migliorata” spiega Sapelli. Converrà meno allo Stato? “Lo Stato – dice Sapelli – si deve preoccupare delle entrate fiscali, ma si deve preoccupare della totalità dei fattori produttivi e tra questi fattori che aumentano la produzione c’è il benessere dei lavoratori con salari che non siano così bassi. Intendiamoci: i lavoratori che prendono stipendi bassi, pagheranno proporzionalmente meno tasse, consumeranno meno. Quindi bisogna finirla con questa idea che lo Stato debba essere solo un esattore di tasse, ma deve dare servizi e favorire che l’economia cresca”, rassicura l’economista.
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