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L’ITALIA dei due volti. Il volto dell’opulenza, del lavoro sicuro e ben retribuito, dell’accesso a una buona ’istruzione, delle infrastrutture e dei servizi che funzionano. E il volto della povertà, dei lavori precari, della cattiva istruzione, di servizi e infrastrutture indecenti, le famiglie con disabili troppe volte lasciate sole.
LA POVERTÀ
Il Rapporto annuale sullo stato di salute del Paese, presentato ieri a Roma a Montecitorio dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, mette a fuoco tutte le forme di disuguaglianza che caratterizzano l’Italia: la vulnerabilità nel mercato del lavoro, il disagio economico delle famiglie, il diverso accesso all’istruzione e alle competenze digitali, la presenza di disabilità che richiedono assistenza. La povertà è il vero punto dolente. Dal 2005 è più che raddoppiata: le famiglie coinvolte sono passate da poco più di 800mila a 1,960 milioni nel 2021 (il 7,5% del totale). Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato: da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale). Prevalgono i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e i giovani di 18-34 anni (dal 3,1% all’11,1%). Nel 2021 sono in povertà assoluta 1, 382 milioni di minori, 1, 086mila 18-34enni e 734mila anziani. Le misure di sostegno economico nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (500mila famiglie) di trovarsi in povertà assoluta.
IL LAVORO
Nel tempo è diminuita l’occupazione standard, a tempo pieno e a durata indeterminata, mentre sono sempre più diffuse modalità ibride di lavoro. Le trasformazioni del mercato del lavoro hanno portato a una decisa diminuzione del lavoro standard, cioè di quello individuato nei dipendenti a tempo indeterminato e negli autonomi con dipendenti, entrambi con orario a tempo pieno. Nel 2021 queste modalità di lavoro riguardavano il 59,5% degli occupati. I lavoratori indipendenti sono progressivamente diminuiti – da quasi un terzo degli occupati all’inizio degli anni ’90 a poco più di un quinto nel 2021 (circa 4,9 milioni) – per effetto del calo di imprenditori, lavoratori in proprio (agricoltori, artigiani, commercianti), coadiuvanti e collaboratori. Nel 2021, quasi la metà dei dipendenti a termine aveva un lavoro di 6 mesi o meno.
L’occupazione a tempo parziale è passata dall’11% dei primi anni ’90 al 18,6% dell’ultimo anno. Nel 60,9% dei casi il part-time è involontario, componente che ha mostrato la crescita più consistente. Quasi 5 milioni di occupati (il 21,7% del totale) sono non-standard, cioè a tempo determinato, collaboratori o in part-time involontario. Sono lavoratori non standard il 39,7% degli occupati under 35, il 34,3% dei lavoratori stranieri, il 28,4% delle lavoratrici, il 24,9% degli occupati con licenza media e il 28,1% dei lavoratori residenti nel Mezzogiorno. Ciò che maggiormente sgomenta è la forte disuguaglianza nelle retribuzioni. Circa 4 milioni di dipendenti del settore privato (eccetto agricoltura e lavoro domestico) – il 29,5% del totale – percepiscono una retribuzione teorica lorda annua inferiore a 12mila euro, mentre per circa 1,3 milioni di dipendenti – il 9,4% del totale – la retribuzione oraria è inferiore a 8,41 euro l’ora. Solo 6,5 milioni di dipendenti del settore privato (eccetto agricoltura e lavoro domestico) hanno un’occupazione a tempo indeterminato e full time per l’intero anno.
Sono circa 2,8 milioni (il 10,7% del totale) le famiglie che hanno un componente con disabilità, la cui presenza comporta una minor partecipazione al mercato del lavoro.
LA CRESCITA
E per il resto? Dopo una crescita record nel 2021 (+6,6%), a inizio anno il Pil è tornato sui livelli di fine 2019, anche se con progressi non uniformi tra i settori. Dalla seconda metà 2021, lo scenario internazionale si è gradualmente deteriorato per effetto di strozzature dal lato dell’offerta e di forti spinte inflazionistiche, esacerbate dall’invasione russa dell’Ucraina. Quest’ultima ha anche peggiorato le attese, così come il cambio di intonazione della politica monetaria. Coerentemente, le prospettive di crescita mondiali per il 2022 e il 2023 sono peggiorate e quelle per l’Italia, pur restando positive, sono in decelerazione.
L’inflazione a giugno ha raggiunto l’8% per l’indice Nic, ai massimi da gennaio 1986, sospinta dai rincari delle materie prime, in particolare del gas naturale, il cui prezzo è aumentato di sei volte. Guardando al futuro, la sfida della transizione ecologica (85 miliardi nel Pnrr) è rilevante per il Paese, che dipende dall’estero per oltre 3/4 dell’approvvigionamento energetico, principalmente petrolio e gas naturale.
PA INVECCHIATA
Di rilevanza strategica per lo sviluppo è la modernizzazione delle amministrazioni pubbliche, che dispongono di un organico ridotto e invecchiato: oggi l’età media dei dipendenti è di quasi 50 anni rispetto ai 42 circa nel settore privato. Oltre che nella semplificazione delle procedure amministrative, la sfida è rivolta allo sviluppo del capitale umano e al pieno sfruttamento delle tecnologie digitali per l’offerta di servizi.
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