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Vladimir Putin

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DICIAMOCI la verità: che la Russia sia a rischio di default  è più un desiderio dell’Occidente (così dimostrerebbe l’efficacia delle sanzioni) piuttosto che una condizione effettiva.  Si parla infatti di default inusuale, poichè la Russia non ha pagato circa 100 milioni di dollari di interessi per due bond denominati in dollari. Ma ciò è successo non perché  la Banca centrale non volesse o non avesse i fondi per pagare, ma perché le sanzioni economiche dell’Occidente glielo hanno impedito.

La vicenda viene spiegata così dalle agenzie: domenica 26 giugno scadeva per la Russia il termine ultimo per il pagamento degli interessi sui bond. Ufficialmente il termine sarebbe scaduto il 27 maggio, ma, come avviene di consueto,  era stato concesso un “periodo di grazia” di un mese, per consentire al debitore di mettersi in regola. Allo scadere della giornata di domenica, tuttavia, il pagamento degli interessi non era arrivato. La Russia è quindi ora in una situazione di default, cioè quello stato di insolvenza in cui il governo di un paese non è in grado (o, più raramente, si rifiuta) di pagare in tutto o in parte il proprio debito. Come spiegano le agenzie che sono gettate a pesce sulla notizia, se confermato, sarebbe la prima volta che la Russia finisce in  default sul debito estero dal 1917, quando, appena dopo la Rivoluzione bolscevica, quando Vladimir Lenin si rifiutò di ripagare i debiti internazionali che erano stati fatti dal vecchio impero degli zar. La Russia aveva fatto default anche nel 1998, ma su debito interno (anche se la circostanza è controversa). 

A causa della stranezza dell’operazione, per ora nessuna agenzia di rating né i vari organi istituzionali deputati  si sono assunti la responsabilità di dichiarare la Russia in default: sia perché probabilmente aspettano conferme più chiare, sia perché questo default è decisamente peculiare, ed è probabilmente un caso unico nella storia: è causato in prima istanza dal fatto che le sanzioni hanno reso impossibile per la Russia effettuare il pagamento. Sia gli Stati Uniti sia l’Europa negli scorsi mesi hanno isolato la Russia dal sistema economico internazionale, sanzionato varie banche che processavano i pagamenti del debito e di fatto eliminato ogni possibilità per la Russia di fare le transazioni necessarie per il pagamento.

La Russia, che ha un debito estero relativamente piccolo e riserve di denaro notevoli grazie alla vendita di idrocarburi e materie prime, avrebbe potuto facilmente pagare il debito, e ha cercato di farlo in più modi. Fino a maggio, il paese era ancora in grado di pagare grazie ad alcune esenzioni concesse dall’amministrazione americana, già eliminate  in prossimità della scadenza degli interessi da 100 milioni di dollari. I commentatori  sono dell’avviso che la Russia rifiuterà la definizione di default. E non sembra possibile che, dati i rapporti tra gli Stati, potrà reggere la tesi per cui  se la Russia è esclusa dai circuiti internazionali ciò è avvenuto per colpa sua in conseguenza dell’invasione  dell’Ucraina.  Ormai  i fatti avvenuti sono ben più gravi del mancato pagamento  (si tratterebbe quasi di una mora accipiendi) di 100 milioni di interessi. Gli investitori non hanno la necessità della dichiarazione formale di default  per allontanarsi dalla Russia: lo hanno già fatto per loro conto  all’inizio dell’invasione quando il paese è stato disconnesso dai mercati ormai mesi fa.

Non vorrei essere cattivo profeta ma mi sembra una tempesta in un bicchiere d’acqua nel contesto di uno tsumani di proporzioni mai viste prima. Peraltro, la Russia sembra essere impegnata in una operazione di espianto dai circuiti internazionali. Molti segnali vanno in questa direzione, a partire dalla richiesta di pagamenti in rubli delle forniture energetiche. Putin, poi, ha in corso un processo di uscita, su sua iniziativa o per esclusione altrui,  dalle istituzioni internazionali come il WTO e forse anche l’OMS, tanto che lo zar del Cremlino sta tentando di costruire in proprio alleanze economiche a livello internazionale.

Non si è ancora capito se questa sua linea di condotta sia contingente e strumentale oppure se faccia parte di una strategia vera e propria alternativa all’Occidente. Durante la guerra fredda i Paesi satelliti erano legati all’URSS non solo attraverso il Patto di Varsavia (un’alleanza militare) ma anche nell’ambito di una Comunità economica (il Comecon), fondata da Stalin nel 1949 e sciolta nel 1991 a seguito della caduta del Blocco orientale. Certo  oggi vi è una ‘’piccola differenza’’ rispetto al 1949. Allora era l’Armata rossa a tenere unito l’Impero e ad imporre le regole del Cremlino. . Adesso Putin non potrebbe organizzare intorno alla Federazione Russa i c.d. Brics da lui riuniti nei giorni scorsi in polemica con le sedute della Nato, dell’Unione europea e del G7.  

Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ( da qui l’acronimo Brics), dopo la riunione hanno comunicato l’intenzione di creare una nuova valuta comune, da utilizzare al posto del dollaro per gli scambi internazionali. La nuova valuta dovrebbe essere basata su un paniere che comprenda tutte le monete dei Paesi coinvolti ed essere utilizzata in particolare per le riserve di questi Stati. Lo ha detto lo stesso presidente russo Vladimir Putin, ma le indiscrezioni erano già emerse in Armenia in occasione dell’incontro fra esponenti dell’Unione Economica Euroasiatica (EAEU) e alcuni accademici di una delle principali università cinesi per delineare i termini di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale. L’operazione è ambiziosa e, allo stato, poco credibile, perché alcuni di questi grandi Paesi non hanno interesse a creare  una globalizzazione minore che limiterebbe la capacità di espansione delle loro economie.

Ma a un certo punto la politica potrebbe avere l’ultima parola. Inoltre la Russia potrebbe avvalersi del suo potenziale energetico; ma si tratta comunque di legami che necessitano di infrastrutture che ora non esistono. C’è poi un altro versante che potrebbe impensierire gli Usa: il progressivo spostamento a sinistra di molti Paesi latino-americani. Non ha riscontrato l’attenzione  che avrebbe meritato la notizia che, in Nicaragua, il regime di Daniel Ortega ha autorizzato l’arrivo dei militari russi con l’obiettivo di “scambio e assistenza umanitaria in beneficio mutuo in casi di situazioni di emergenza per il secondo semestre del 2022”.

Per non parlare della Cina che ormai è penetrata in gran parte del Continente africano. Queste operazioni non possono non essere interpretate – del resto Putin lo ammette apertamente – come il tentativo di un cambiamento importante del sistema geopolitico, di cui la guerra in Ucraina si rivelerà presto un episodio marginale e periferico.


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