L’alto rappresentante per la politica estera di Bruxelles, Josep Borrell
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Un chicco per la pace. Mai come in questa guerra le derrate alimentari sono balzate al centro dell’interesse mondiale. Ma la pace è lontana e anche il grano ucraino. L’alto rappresentante per la politica estera di Bruxelles, Josep Borrell, ha rilanciato ieri un’accusa gravissima: «Vladimir Putin – ha detto – sta utilizzando il grano come arma di guerra».
E ha ricordato: «Ci sono oltre 20 milioni di tonnellate di grano immagazzinate in Ucraina che dovrebbero essere esportate. Si deve far spazio nei magazzini per il prossimo raccolto».
Da giorni il nodo è sempre lo stesso: trovare una strada per bypassare i porti minati del Mar Nero, ma un’alternativa alla via marittima è lontana. Senza accordo con la Russia sarà difficile sbloccare la situazione e comunque, secondo Borrell, bisogna agire d’intesa con le Nazioni Unite. Quel corridoio umanitario che qualche giorno fa sembrava fattibile diventa così sempre più un miraggio. Ma la Ue, ed è stato ribadito nel vertice di ieri, non si ferma.
LA DENUNCIA DI KIEV
Intanto il governo ucraino continua a denunciare i furti di cereali da parte di Mosca che sarebbero poi esportati illegalmente. Si tratterebbe di quasi mezzo milione di tonnellate di grano. Secondo il vice ministro dell’Agricoltura i traffici partirebbero dalle regioni occupate, in particolare da Kharkiv, Donetsk, Lugansk o attraverso la Crimea. Sempre secondo la stessa fonte ucraina, il prodotto sarebbe stato offerto a Egitto e Libano che però avrebbero rifiutato.
La Coldiretti ha commentato dicendo che il trasferimento di grano in Russia rappresenta un duro colpo per l’economia dell’Ucraina, dove il raccolto è stimato quest’anno a quota 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti, mentre in controtendenza sale la disponibilità in Russia, dove la produzione aumenta del 2,6% per raggiungere 84,7 milioni di tonnellate, delle quali circa la metà destinata alle esportazioni (39 milioni di tonnellate).
La Russia – ha sottolineato Coldiretti – è il primo esportatore mondiale di grano e con il controllo delle scorte alimentari rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali, con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina. Ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi.
L’impatto di questa guerra sarà devastante perché, oltre ai disastri in Ucraina, ci sarà una scia di emergenze alimentari e umanitarie che non lascerà indenne nessun angolo del mondo.
L’ALLARME FAO SULLA FAME NEL FONDO
La Fao ha già lanciato l’allarme sugli oltre 200 milioni di persone in stato di denutrizione, a cui se ne aggiungeranno ancora molte. In Nigeria, nei giorni scorsi, è scoppiata una rivolta con 31 morti in occasione della distribuzione gratuita di cibi. Lampedusa è presa d’assalto dai disperati che fuggono dalla fame.
La guerra in Ucraina – ha sostenuto il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Paolo Gentiloni – può avere conseguenze sistemiche molto serie sia perché l’apprezzamento del dollaro provoca difficoltà a diverse economie emergenti, sia perché la crisi rende difficile la fornitura di grano, sementi e commodity fondamentali per l’agricoltura e questo può avere ripercussioni notevoli sui prezzi e sull’offerta di cibo per i Paesi emergenti, in particolare per i Paesi africani».
E se è vero, come ha detto ieri il sottosegretario alle Politiche agricole, Gianmarco Centinaio (Lega), che l’Italia non ha problemi di grano, è altrettanto vero che è necessario riuscire a ottenere il prodotto a un prezzo che sia più competitivo.
Con la guerra, infatti, sono esplosi i prezzi dei carburanti, dell’energia e dei semi, anche per effetto della ricadute speculative. Il problema dunque c’è: non per l’approvvigionamento, ma per i prezzi che portano i Paesi fragili alla fame e alla carestia. E la ricaduta in Italia è di ulteriori criticità legate all’aumento consistente di flussi migratori.
LA CORSA AL RIALZO
Intanto la corsa dei listini non si arresta. Ieri al lieve rialzo del prezzo spot del gas in Europa con un livello più sostenuto a Londra, e all’aumento del greggio a 115,8 dollari al barile e il Brent a 120 dollari, si è affiancato anche il +1,2% del grano tenero, salito a 1.157 dollari per unità di 5.000 bushel, mentre il ritocco per il grano duro è stato solo dello 0,5%.
Anche nel fine settimana c’era stata una corsa al rialzo. Nell’ultimo giorno di contrattazione prima della chiusura festiva – ha sottolineato Coldiretti – sono infatti saliti i listini del grano e del mais che hanno raggiunto rispettivamente 11,57 dollari/bushel e 7,77 dollari/bushel alla Borsa merci future di Chicago.
Tornando alle situazioni interne, ieri dall’Istat è arrivata un’altra gelata. I prezzi di produzione dell’industria alimentare sono infatti saliti del 14%, segno che si comincia a trasferire il caro costi dei fattori produttivi. E a soffrire è un altro settore, quello del legno, della carta e della stampa che ha messo a segno, sempre secondo i dati Istat, +19,2%.
Sono segnali che non lasciano prevedere nulla di buono sul fronte dell’inflazione. Perché a cascata andranno a colpire le tasche dei cittadini e i bilanci delle aziende. Dall’elaborazione di Altroconsumo su dati Iri spiccano gli aumenti di alcuni beni alimentari ad aprile rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le banane, per esempio da 1,5 euro al chilo sono passate a 1,7, la farina da 0,67 a 0,83, il latte a lunga conservazione da 0,90 al litro a 0,96 , l’olio extravergine di oliva da 4,13 euro al litro a 4,67 e, ancora, la passata di pomodoro da 1,26 a 1,33 euro e la pasta da 1,33 a 1,61. E non si salva il caffè con la tazzina dell’espresso che in alcuni bar, secondo la mappa dei prezzi nelle principali province italiane realizzata da Assoutenti, ha segnato incrementi a due cifre rispetto al 2021.
LE PRATICHE SLEALI
Insomma, è uno tsunami prezzi. D’altra parte non può che essere così, sia per i costi gonfiati da energia e materie prime, sia per i trasporti. In Italia il 25% viaggia su gomma, inoltre è allarmante – evidenzia Coldiretti – la situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1.000%. In generale, secondo il global index Freightos, l’attuale quotazione di un container è pari a 9.700 dollari contro 1.400 dollari di un anno fa.
«Serve responsabilità da parte dell’intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione – ha detto il presidente Ettore Prandini – per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione».
Una pratica sleale, per esempio, è quella di non ritoccare i prezzi, ma tagliare le quantità delle confezioni. Il nome in codice è shrinkflation e l’Antitrust ha già aperto un’indagine. Con la guerra – ha denunciato Coldiretti – si moltiplicano speculazioni e pratiche sleali sui prodotti alimentari, che vanno dai tentativi di ridurre la qualità dei prodotti offerti sugli scaffali alle etichette ingannevoli, fino al taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori, al di sotto dei costi di produzione.
Una situazione inaccettabile: oggi per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati, appena 15 centesimi vanno agli agricoltori, ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione scende ad appena 6 centesimi. Il tutto mentre si tenta di importare prodotti al di sotto degli standard di sicurezza nazionali. E intanto le campagne si preparano ad affrontare l’emergenza siccità: dopo Hannibal arriva Scipione a mettere a rischio le semine di riso, girasole, soia, grano, ma anche frutta e ortaggi.
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