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PASTA e tonno come caviale e ostriche. La tavola degli italiani diventa sempre più preziosa. Per un piatto di spaghetti si spenderanno 800 milioni in più. E per il riso si sale ancora più su. Lo sciopero dei consumatori contro le bollette da incubo è già partito, e forse a breve potrebbe essere la volta delle manifestazioni contro gli insostenibili adeguamenti dei listini del cibo. Gli imprenditori agricoli hanno avviato le proteste dal Villaggio Coldiretti di Milano. Ora tocca ai consumatori, costretti a confrontarsi ogni giorno con cartellini “ritoccati”. Sul gas, madre di tutti i rincari, si gioca la partita più dura. Dopo le “mosse” della Germania e l’opposizione al tetto del prezzo da parte di Paesi come l’Olanda dove si forma, spesso artificialmente il prezzo, l’emergenza è sempre più identificata nella speculazione.

I NUOVI RINCARI

La partita in Europa si presenta dunque molto difficile. A giocarla il governo Draghi, che però passerà presto la mano al nuovo esecutivo. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio in pectore del governo “in cantiere”, ha detto dal palco della Coldiretti che non si può più procedere compensando i costi delle bollette, perché in questo modo si continueranno a dare soldi alla speculazione. La ricetta della Meloni è «partire da interessi nazionali per trovare soluzioni comuni». Intanto, però, i prezzi dei prodotti alimentari continuano a salire.

Il dato Istat sui prezzi al consumo, che ha segnalato un aumento dell’11,5%, descrive solo in parte la gravissima situazione e l’impatto pesante sulle tasche dei consumatori. In un’analisi dettagliata della Coldiretti sui singoli prodotti che compongono il “paniere” si evidenziano infatti delle punte che fanno suonare il campanello d’allarme. A guidare i rialzi vertiginosi sono gli olii di semi, con un balzo di quasi il 61%. È vero che si tratta di uno dei prodotti che ha più risentito del conflitto, poiché l’Ucraina è tra i principali produttori. Ma l’impennata dell’olio dii semi ha trascinato in alto anche il burro (+38%) e la margarina (+26,5%). Tavola amara per il latte a lunga conservazione, con un + 24,5%, e lo zucchero (18,4%). Vola anche la verdura fresca (+16,7%). Allarmante poi il trend di prodotti basici come la farina (+24,2) e la pasta con +21,6%. Ancora più caro il riso (+26,4%).

PASTA SUPERSTAR

Ma è la pasta , prodotto principe della Dieta Mediterranea, che sta diventando un vero caso. Secondo uno studio della Coldiretti, sulla base dei rialzi degli ultimi mesi rilevati dall’Osservatorio del ministero dello Sviluppo economico, il conto per la famiglie italiane sarà più salato di 800 milioni di euro. Che si aggiungono ai 900 milioni di spesa maggiorata per il pane, altro prodotto venduto ormai a peso d’oro. Per un chilo di pasta le famiglie pagano a Milano 3,18 euro come a Napoli, a Roma 3,20 che salgono a 3,26 a Bologna, lievemente più economica Palermo con 2,48 euro. Ma se sullo scaffale i cartellini si infiammano, in campagna i listini del grano non si adeguano. E l’incidenza della materia prima resta marginale. Per un chilo di grano gli agricoltori non incassano più di 47 centesimi che non consentono di coprire neppure i costi, schizzati di quasi il 70%. A pesare , come per il gas, sono le manovre speculative che l’Italia, dipendente per il 44% dall’import di grano duro, fa fatica a contrastare.

E non c’è comparto che riesce a salvarsi. Ieri un grido d’allarme lo ha lanciato l’Associazione nazionale conservieri ittici e delle tonnare ( Ancit) che ha denunciato le difficoltà in cui si dibatte un settore strategico per l’alimentare (tonno in scatola e conserve ittiche), con una produzione nazionale che nel 2021 ha raggiunto 83.861 tonnellate (+4,35% sul 2020) e un valore di mercato di circa 1,38 miliardi. Ma oggi il settore è allo stremo, con una bolletta energetica balzata in alto del 300% che si aggiunge ai costi delle materie prime utilizzate, dal pesce all’olio fino a tutti materiali a partire dagli imballaggi cresciuti di oltre il 50%.

L’Ancit ha sottolineato che le problematiche mettono in crisi un comparto che ricopre anche un ruolo sociale garantendo alimenti di qualità e a prezzi contenuti. Il settore ha poi un problema ulteriore che si aggiunge a quello dei costi, e cioè l’apprezzamento del dollaro, perché i pagamenti del prodotto base, il tonno, vengono effettuati in dollari. Una penalizzazione in più rispetto alle altre filiere euro based.

LA LOTTA AI “FALSI”

Se si procede lungo questa china si rischia lo stop. «Ma se si ferma l’agroalimentare – ha detto Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia – si ferma il Paese». E il rischio è che possa ripartire lo scippo di brand strategici, perché «oggi – ha aggiunto – nella Ue non si gioca con le stelle regole». «Occorre ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali – ha sottolineato il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali».

Perché se si continua così i consumatori saranno obbligati a tagliare gli acquisti (una strada peraltro già imboccata) mentre agli agricoltori non resterà che chiudere le aziende, spalancando le porte ai cibi di importazione e dando ossigeno all’Italian sounding. Vero o taroccato, il made in Italy agroalimentare è sempre più gettonato. Lo conferma l’export che, nonostante tutto, corre ancora e punta a chiudere il 2022 a quota 60 miliardi. Se non si trova l’originale, gli stranieri ( ma presto potrebbe accadere anche nelle nostre catene distributive) si accontentano dei falsi. Il valore dei cibi che evocano con colori e simil marchi la produzione tricolore è arrivato a 120 miliardi (40 miliardi solo negli Stati Uniti, patria del taroccato).

Nel mondo, in pratica, oltre due prodotti agroalimentari nazionali su tre sono falsi, senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese. Riconquistando questa considerevole quota, invece, si potrebbero creare oltre 300mila nuovi posti di lavoro. In cima alla lista i formaggi, a partire dai big come Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma non si salva la mozzarella. Spiccano poi anche gli olii extravergine di oliva e le conserve, a partire dal pomodoro San Marzano, vanto delle produzioni del Mezzogiorno. Un attentato, dunque, alle economie agricole nazionali.


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