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MEZZOGIORNO addio. Chi ancora sperava (o si illudeva) nella capacità dell’Italia di recuperare il Sud colmandone il divario storico che lo separa dalle regioni del Centro e del Nord del Paese può mettersi l’animo in pace.

La Relazione della Banca d’Italia, pubblicata in occasione dell’illustrazione delle Considerazioni finali del governatore nel corso dell’Assemblea generale annuale, ha certificato che il Sud è rimasto indietro nella crescita complessiva. Non è solo purtroppo la base produttiva meridionale ad essersi ulteriormente indebolita: sono cresciuti i differenziali nei tassi di occupazione e nella qualità del lavoro. Su questi andamenti hanno poi inciso le fragilità strutturali del tessuto imprenditoriale, che si riflettono in condizioni di accesso al credito meno favorevoli e in una maggiore dipendenza dell’economia dalla domanda interna e dalla spesa pubblica, entrambe frenate dalle conseguenze della crisi finanziaria e dei debiti sovrani.

Sul ritardo di sviluppo del Mezzogiorno continuano a pesare anche le ampie e persistenti carenze nella dotazione infrastrutturale, nella qualità dei servizi e nell’azione complessiva del settore pubblico.

Il futuro e il Pnrr

Le prospettive di crescita dell’area che scontano dinamiche demografiche particolarmente sfavorevoli – si legge nella relazione annuale –  dipenderanno dal complessivo miglioramento del sistema produttivo locale e dall’attuazione di riforme e investimenti tesi a migliorare il contesto in cui operano le imprese.

Lo strumento per farlo è sempre e soltanto uno: la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Durante la doppia recessione 2008-13 (finanziaria e dei debiti sovrani) la caduta del Pil nel Mezzogiorno è stata più intensa rispetto al resto d’Italia e il successivo recupero più debole. Nel 2019, prima dell’insorgere della pandemia, il prodotto delle regioni meridionali era ancora di 10 punti percentuali inferiore ai livelli del 2007, una perdita di 8 punti superiore a quella del Centro Nord; il Pil per abitante era sceso al 55% di quello del Centro-Nord (dal 57 del 2007), un divario dovuto per oltre la metà al minore impiego della forza lavoro disponibile. Il calo del prodotto ha riflesso andamenti particolarmente negativi sia degli investimenti, sia dei consumi. Il rapporto tra investimenti e prodotto, nettamente superiore al valore medio nazionale fino all’inizio degli anni Novanta, è sceso su livelli inferiori a quelli pur modesti del Centro Nord, determinando una riduzione significativa dello stock di capitale.

Il fatto è che il Mezzogiorno è caratterizzato da tassi di imprenditorialità più elevati rispetto al Centro – Nord, cui corrispondono tuttavia anche tassi di mortalità delle imprese più alti nei primi anni di vita. Inoltre sono maggiormente diffuse le imprese a gestione familiare, caratterizzate in media da percorsi di crescita meno dinamici. Le esportazioni del Mezzogiorno, tra il 2009 e il 2019, sono cresciute del 3,1% l’anno in termini reali, tenendo il passo della domanda potenziale; al netto dei prodotti petroliferi l’incremento è stato superiore (4,2%) e pari a quello del Centro Nord. Anche il comparto turistico ha avuto un’evoluzione favorevole: nel periodo 2010-19 la spesa dei turisti stranieri nel Mezzogiorno è cresciuta di quasi il 9% l’anno, contro il 5,4 delle regioni centro-settentrionali.

Il mercato del lavoro

La difficoltà di creare lavoro nelle regioni meridionali è uno dei fattori critici alla base dei divari territoriali e una delle maggiori fonti di diseguaglianza dei redditi familiari in Italia. Alla vigilia della pandemia solo il 44,5% della popolazione in età da lavoro del Mezzogiorno risultava occupata, contro il 66,6 del Centro Nord. Questo divario, in progressivo aumento dagli anni settanta del secolo scorso, si è ampliato dopo la doppia recessione del 2008-13, sia per la componente maschile sia per quella femminile. Il differenziale del tasso di attività (17 punti percentuali nel 2019) – dovuto soprattutto alla bassa partecipazione femminile, ma significativo anche per gli uomini – è fortemente cresciuto dall’inizio degli anni duemila. Dopo la crisi finanziaria è tornato a salire anche il divario del tasso di disoccupazione: alla vigilia della pandemia era prossimo a 11 punti percentuali e raggiungeva quasi 19 punti per i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni.

Troppo il lavoro nero e sommerso. In risposta alle difficoltà di trovare un lavoro regolare e di buona qualità,  nell’ultimo decennio sono progressivamente aumentati i flussi migratori in uscita. Sui trasferimenti di residenza, nel periodo 2007-19 le cancellazioni dalle anagrafi comunali sono state 1,8 milioni; gran parte di queste ha avuto come destinazione le regioni del Centro – Nord e una parte residuale l’estero.

L’accesso al credito

Il rapporto tra prestiti bancari alle imprese e il valore aggiunto del settore privato non finanziario è più basso nel Mezzogiorno. Il basso grado di finanziarizzazione riflette una minore domanda di credito che, a sua volta, risente della maggiore onerosità delle condizioni applicate sui prestiti, in termini sia di tassi di interesse, sia di garanzie richieste. Queste peggiori condizioni creditizie sono dovute alle dimensioni delle imprese più piccole e giovani con bilanci più fragili, caratterizzati da margini operativi più bassi e da una minore patrimonializzazione; dalla maggiore  rischiosità del credito e dalla lentezza nel processo di recupero dei crediti da parte degli intermediari.

Fattori di contesto ed efficacia dell’azione pubblica

Le potenzialità  di sviluppo dell’economia meridionale sono fortemente condizionate da fattori esterni al sistema produttivo che incidono sui costi e sulla produttività delle imprese, limitandone la capacità di crescere e competere. Tra questi figurano la dotazione di infrastrutture, la disponibilità e la qualità  dei servizi pubblici e il funzionamento complessivo delle istituzioni.

La pandemia e le prospettive di medio termine

La crescita della produttività e della domanda di lavoro dipenderanno in misura critica dal rafforzamento del sistema produttivo locale e del livello di infrastrutturazione del territorio, anche sfruttando le riforme e gli investimenti del Pnrr. Le risorse del Piano insieme con quelle del Fondo complementare, dei fondi strutturali e del Fondo per lo sviluppo e la coesione, portano una dote di 200 miliardi fino al 2030. I soldi, dunque, non mancano, ma ora servono le opere e lo spirito per imprimere la svolta che serve davvero per far tornare a correre il Mezzogiorno.


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