La Northern Sea Route
4 minuti per la letturaL’Artico è stato fino a poco tempo fa “depoliticizzato” e considerato luogo di dialogo e di cooperazione, specie fra gli otto paesi artici (Russia, USA, Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia), facenti parte del Consiglio dell’Artico, e i tredici Stati osservatori (tra cui l’Italia, la Cina, l’India e il Giappone).
Lo aveva proposto Gorbaciov nel 1987, nella sua visione di una Russia europeizzata e modernizzata e di un’Europa unita e pacifica. A quei tempi, l’interesse per l’Artico era soprattutto scientifico e climatico. Nella visione del leader russo, cessava la funzione strategica svolta dall’Artico nella guerra fredda. Come rotta di transito dei bombardieri e dei missili russi per colpire gli USA e viceversa. Come luogo di rifugio dei sommergibili lanciamissili russi e americani, che stazionavano sotto la calotta glaciale artica, e di transito di quelli d’attacco sovietici, che dovevano superare le difese NATO della linea GIUK (Groenlandia-Islanda-Regno Unito) per accedere all’Atlantico e attaccare il “ponte transatlantico” fra gli USA e l’Europa.
La fine della guerra fredda aveva del tutto smilitarizzato l’intera regione. Lo scioglimento dei ghiacci ha mutato la geopolitica dell’Artico. Intanto ha permesso l’accesso alle sue enormi risorse naturali – sottomarine e costiere – della regione: 22% di quelle mondiali di petrolio e gas naturale; 9% d’alluminio; 5% di minerali di ferro, rame, fosfati e palladio. Perciò, l’Artico si è “politicizzato”. Si è anche militarizzato poiché sono sorte dispute per la divisione delle zone economiche esclusive dei paesi rivieraschi.
In particolare la Russia, che possiede circa il 50% della regione artica, ne rivendica l’espansione ad Ovest per quasi 2 milioni kmq, fino ai fondali marini della catena sottomarina della Dorsale di Lomonosov, la cresta di Mendeleev e il bacino di Provodnikov, che considera estensioni naturali della sua piattaforma continentale. Poi, è divenuta possibile la navigazione senza supporto di rompighiaccio del “Passaggio a Nord-Est”, attraverso lo stretto di Bering, mettendo in collegamento i porti dell’Europa del Nord con quelli dell’Asia Orientale, con un percorso di circa un terzo più breve di quello per Suez.
La Northern Sea Route (NSR), regolata dalla Russia, viene utilizzata oggi per trasportare in Asia il LNG del grande giacimento siberiano dello Yamal. È percorsa da centinaia di metaniere-rompighiaccio, ma solo da qualche decina di navi commerciali. Non è concorrenziale – come si era temuto – rispetto a quella Suez-Mediterraneo per l’inesistenza di porti intermedi, in cui scaricare parte dei containers e caricarne di nuovi, come invece avviene per la rotta mediterranea.
La Cina pensava che la sua utilizzazione sarebbe stata più massiccia. L’aveva denominata “Via Polare della Seta”, anche per sottolineare il suo interesse, di nazione che si definisce “Stato vicino all’Artico”, alle ricchezze naturali e alla geopolitica della regione artica. Oltre al “Passaggio a Nord-Est”, è divenuto praticabile quello a “Nord-Ovest”. Mentre il primo si sviluppa in acque territoriali russe, il secondo è in acque canadesi, ma è poco praticato, perché non concorrenziale con Panama. Infine, un rompighiaccio cinese ha attraversato la calotta polare passando direttamente per il Polo.
L’utilizzazione della regione artica per i traffici commerciali è destinata ad aumentare. L’Artico è la zona del globo più interessata ai mutamenti climatici. Rotte commerciali e sfruttamento di risorse naturali aumenteranno considerevolmente anche a breve termine. L’aggressione russa all’Ucraina ha accelerato i mutamenti geopolitici già in atto nell’Artico, con l’adesione alla NATO della Svezia e della Finlandia.
Malgrado l’affermazione di Putin che il loro accesso all’Alleanza non rappresenta un pericolo per la Russia, non sono mancate le reazioni di Mosca: sospensione delle forniture di gas alla Finlandia; annuncio della costruzione di 12 basi militari sui 1.300 km di confine con lo Stato scandinavo; schieramento di armi nucleari nel Baltico. La frustrazione di Mosca deve essere molto forte.
È un chiaro segno del fallimento della politica di Putin nei confronti dell’Occidente e della solidità della NATO, cioè dei rapporti transatlantici. Anziché indebolirsi si sono rafforzati. Già il 5 marzo fu sospeso il Consiglio dell’Artico, allora a presidenza russa. In tale occasione, Mosca dovette registrare con imbarazzo che la Cina si era allineata con gli altri membri contro Mosca, sposando il loro approccio multilateralista, anziché quello nazional-egemonico del Cremlino.
Le conseguenze della crisi ucraina sull’Artico sono diverse. In primo luogo, sembra terminato per sempre l’”eccezionalismo” della regione, che la rendeva luogo di dialogo e cooperazione, indipendente dai contrasti geopolitici globali. L’Artico è divenuto luogo di aspra competizione geopolitica. Accrescerà tale caratteristica quando la regione sarà coinvolta nei contrasti fra gli USA e la Cina. Specie dopo l’adesione della Svezia e la Finlandia, la NATO ne sarà coinvolta e con essa lo sarà sempre più anche l’UE.
In secondo luogo, il rafforzamento dei legami fra l’Europa e gli USA comporterà la tendenza a rendere globale l’Alleanza. L’UE per contare politicamente, cioè per proteggere i suoi interessi, dovrà accrescere la sua collaborazione con gli USA, dall’Artico all’Indo-Pacifico.
In terzo luogo, è inevitabile che una maggiore rilevanza nella NATO dei paesi scandinavi e dell’Artico si ripercuota in modo negativo su quella del Mediterraneo allargato. Le sfide di sicurezza che dovrà affrontare il nostro Paese saranno maggiori e richiederanno più intenso impegno. Occorre divenirne consapevoli e provvedervi per tempo.
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