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GRANDI speranze sono state espresse da tutti i media sull’esito del terzo incontro fra le delegazioni ucraina e russa sul conflitto sempre più sanguinoso e duro in Ucraina. Tutti temono il peggio e vogliono la pace. Penso che sia Putin che Zelensky la vogliano. Il problema è che la pace di Putin è del tutto opposta a quella di Zelensky. Come sempre il problema non sta nella contrapposizione fra guerra e pace, fra guerrafondai e pacifisti, ma nel fatto che le parti in campo vogliono paci troppo diverse. Non si possono accordare su un trattato e, neppure, su una tregua temporanea.

Nei negoziati fra ucraini e russi non bisogna confondere le proprie speranze con la realtà. La possibilità che il conflitto cessi è molto lontana. Vediamo perché.  

NEGOZIATI E CANNONATE

Molti contrappongono guerra e politica o cannonate a diplomazia, come se una escludesse l’altra. Invece fanno parte di un processo che va esaminato unitariamente. Il “povero” Clausewitz è quasi sempre citato a sproposito. Quando dice che la guerra è la continuazione della politica non intende dire che quando tuona il cannone la politica cessa. Aggiunge solo agli altri strumenti della politica l’uso delle armi.  

Ogni cannonata è come un messaggio diplomatico. Seppur meno carina di esso, ha sempre due significati: il primo è di accettare la pace che si intende imporre al nemico; il secondo è la minaccia di una nuova cannonata, qualora non venga accettata tale imposizione. È per questo che durante le guerre è essenziale che continui il dialogo fra i nemici, se non altro per non sciupare le cannonate che costano. Solo così le guerre si concludono con armistizi e rese, non con il massacro totale dei nemici.

Oggi, nell’era dell’informazione, mantenere il dialogo aperto con l’avversario è poi importante per l’infowar diretta alle opinioni pubbliche propria, del nemico e internazionale.  

LE TRATTATIVE

A parer mio, il terzo incontro non produrrà la fine del conflitto. Le condizioni che pone Putin -smilitarizzazione, neutralità e rinuncia perpetua dell’Ucraina a entrare nella Nato, riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia e dell’indipendenza delle province secessioniste del Donbass – sono inaccettabili per Kiev. D’altro canto, è troppo presto perché Putin possa rinunciare a qualche obiettivo di quella che non chiama guerra, ma «operazione speciale».

Lo ha ribadito in una telefonata fatta mercoledì scorso a Macron, precisando che tali obiettivi saranno raggiunti a ogni costo. Chiaramente, le perdite subite dalle sue truppe, le pressioni e sanzioni internazionali e il dissenso nel suo “cerchio magico” non sono ancora sufficienti da indurlo ad accettare un’umiliazione e a perdere la faccia ridimensionando la “pace” che vuole conseguire. Per ora, essa sarebbe secondo lui indispensabile, per «evitare per sempre che l’Ucraina possa divenire una minaccia per la Russia» (sic!). Continuerà quindi a negoziare. Lo stesso deve fare Zelensky, anche per neutralizzare le accuse di Mosca di voler sottoporre, per ambizione o follia personali, a perdite e sofferenze inutili il popolo ucraino. Quello che al massimo potrebbe essere raggiunto nei colloqui è lo scambio di prigionieri e di feriti e l’apertura di corridoi umanitari per l’evacuazione di bambini e vecchi dalle città.

GLI SCONTRI

Veniamo alle “cannonate”. Aumenta l’intensità dei bombardamenti anche delle aree residenziali. Le fanterie russe hanno difficoltà ad avanzare. Subiscono gravi perdite. I loro potenti mezzi corazzati sono poco idonei al combattimento urbano. Le macerie dei palazzi offrono condizioni favorevoli ai difensori, anche se dotati di mezzi non dell’ultima generazione, quali le armi controcarri e quelle leggere fatte affluire in Ucraina dall’Occidente, che hanno il grande vantaggio di poter essere impiegate da personale non addestrato e senza pezzi di ricambio.

Solamente le forze regolari ucraine sono dotate di armi moderne. Le avevano ricevute prima dell’inizio dell’aggressione russa dagli Usa e dal Regno Unito, che avevano provveduto anche al loro complesso addestramento. Le forze russe, non solo quelle dell’esercito – che su 280.000 effettivi ha quasi 200.000 coscritti -ma anche i paracadutisti, le forze speciali e la fanteria di marina, composti da professionisti, non dimostrano grande volontà combattiva. Spesso vengono cacciati da contrattacchi ucraini dai centri abitati che hanno a fatica conquistato.

Stranamente, Putin non fa affluire altre unità terrestri. Ricorre sempre più ai bombardamenti aerei, all’artiglieria a lunga gittata e ai missili. Rischia di spianare le città ucraine. Come possa pensare ancora d’installare a Kiev un governo filorusso è per me un mistero. Giorni duri attendono il popolo ucraino. Merita ogni rispetto e sostegno.  

LA “TERZA ROMA”

Con la resistenza ucraina all’esercito russo, alla quale partecipano eroicamente anche gli ucraini russofoni delle regioni orientali e meridionali del Paese, è andata al diavolo l’ideologia del Russkiy Mir, cioè del “Mondo Russo”, a cui spesso si riferisce Putin. Secondo  essa, Mosca deve avere il controllo di tutte le regioni in cui si parla russo, secondo una concezione al tempo stesso mistica e imperiale della “Terza Roma”.

Dal Cremlino, essa sarebbe destinata a guidare lo scontro fra la “terra buona” e il “mare cattivo”, teorizzato dal pensiero eurasista, fatto conoscere in Italia da Alexander Dugin, già consigliere di Zirinovskij e che Putin ha ereditato come capo dell’ufficio studi geopolitici della Duma.


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