La prima donna alla guida di Terna, Giuseppina Di Foggia
4 minuti per la letturaCapi azienda come Cattaneo, Descalzi, Del Fante sono una garanzia in termini di visione industriale, posizionamento internazionale, gestione finanziaria e gradimento dei mercati. La prima donna alla guida di Terna, Giuseppina Di Foggia, è un muro che si abbatte e è bello averlo fatto con competenze scelte dal mondo privato. Il tandem Cingolani-Pontecorvo per Leonardo e l’esperienza di uomini come Scaroni e Zafarana esprimono l’equilibrio con cui il governo Meloni ha scelto soluzioni di qualità. Questa volta anche la Lega ha aiutato a cercare il meglio sul mercato oltre al duo collaudato Letta-Tajani. Siamo nel solco della lezione di competenza di Draghi e della regola degasperiana di risultato sulla burocrazia che possono fare oggi di Giorgia Meloni il leader europeo della Destra moderata.
SULLE nomine ai vertici delle grandi aziende pubbliche italiane non si è ceduto al discorso dell’occupazione del potere e questo dovrebbe essere di lezione anche per altri campi. Non si è ceduto non perché non abbia deciso la politica, è un suo potere, ma nel senso che lo ha esercitato scegliendo manager di qualità con le competenze giuste per affrontare le sfide societarie cruciali di questo passaggio storico difficilissimo. Non si è ceduto nel senso che grazie alle scelte compiute si può finalmente provare a fare un gioco di squadra come sistema Paese avendo messo alla testa delle grandi aziende italiane donne e uomini che possono accrescere il valore strategico dei nostri asset più importanti. Non si è ceduto nel senso che si sono dimostrati sul campo la forza e il merito politici di premiare chi ha fatto bene confermandoli nei loro incarichi e riconoscendo quindi il valore della continuità contro il disvalore della occupazione partitocratica. Si è riconosciuto il valore della continuità dello Stato e dei suoi manager come avviene in tutti i Paesi seri del mondo. Che sono proprio quelli che non ricominciano sempre daccapo. La lezione implicita è che viene premiato chi fa bene e, quindi, anche per i manager è un segnale molto chiaro: non conviene vendersi al padroncino di turno che offre quello che non può dare. Non si è ceduto nel senso che si è dato un segnale chiaro alla media e grande azienda privata sopravvissute: è opportuno giocare le carte migliori investendo sull’Italia.
Perché, parliamoci chiaro, capi azienda come Flavio Cattaneo, Claudio Descalzi, Matteo del Fante sono una garanzia assoluta in termini di visione industriale, posizionamento internazionale, gestione finanziaria e gradimento dei mercati. La prima donna alla guida di una delle big e, cioè, Terna, Giuseppina Di Foggia, è un altro muro che si abbatte ed è molto bello il segnale che il muro si abbatta scegliendo competenze di valore che vengono dal mondo privato. Leonardo è un asset chiave sia per la difesa, che non è una roba secondaria, sia per l’industria del futuro. Si è fatta una scelta all’altezza affidandola nelle mani dell’ex ministro Cingolani stimato all’estero e coadiuvato da manager di esperienza per grandi gruppi quotati e con un presidente di altrettanta esperienza come l’ambasciatore Pontecorvo. È interessante anche la rappresentanza femminile di qualità nel nuovo Cda a partire da Enrica Giorgetti. L’esperienza di uomini come Paolo Scaroni che ha visto e gestito di tutto conseguendo risultati ovunque o del generale Giuseppe Zafarana sono messe al servizio della presidenza di Enel e di Eni e sono un’ulteriore dimostrazione dell’equilibrio finale di competenze che questo governo persegue fino a oggi in tutti i suoi passaggi più difficili.
Questo equilibrio è la premessa necessaria per giungere a soluzioni di qualità. Si vede qui davvero un successo della lezione di competenza di Draghi che è quella di un grande servitore dello Stato e che si esprime in una regola di etica pubblica di qualità fatta propria anche da un governo politico. C’è anche un po’ il senso profondo della lezione degasperiana del Dopoguerra che era quella di dare la priorità nella scelta della grande burocrazia a favore di chi era capace di portare a casa il risultato. Che, infatti, arrivò e fu quello del miracolo economico italiano. Si capisce, a questo punto, perché mercati e istituzioni internazionali si sono convinti che il governo italiano della nuova destra non solo non farà strappi sulla finanza pubblica, ma neanche sulla cultura di mercato e sul posizionamento strategico europeo.
A ben pensarci, la vera scommessa già vinta a metà è quella della percezione internazionale di Giorgia Meloni non come leader italiana della Destra ma come leader europeo della Destra moderata. Questa volta, bisogna riconoscerlo, anche la Lega di Salvini e Giorgetti che ha fatto scelte di qualità e il moderatismo competente di uomini come Gianni Letta e Antonio Tajani, per conto di Forza Italia, hanno dato una mano importante. È un messaggio significativo, quello dato ieri dal governo Meloni, anche a tutela delle nomine che sono in mano alle Regioni. Soprattutto per la sanità i presidenti vecchi e nuovi dovranno sapersi adeguare a questo discorso di competenza. Scegliere i migliori, non gli amici degli amici, è nell’interesse di tutti.
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