Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella
6 minuti per la letturaSi mette in discussione il ruolo di Mattarella che è oggi il punto di massima stabilità istituzionale per l’Italia in casa e nel mondo. La schizofrenia è che invece di occuparsi di come qualificare la macchina pubblica che danneggia la corsa dell’economia italiana, si apre un tavolo di riforme per fare il nuovo presidenzialismo con un capo dello Stato o un premier eletti direttamente dal popolo, gerarchia decisionale a partire dal centro, e allo stesso tempo si persegue l’autonomia differenziata che fraziona l’unità nazionale in venti governi regionali con autonomia fiscale. Forse, potrebbe funzionare meglio un cancellierato alla tedesca con indicazione pre elettorale esplicita affiancato dalla istituzione di una Camera delle Regioni che segni il passaggio dal regionalismo competitivo a quello cooperativo guidato da una sede istituzionale di cooperazione.
DI quanti livelli di governo è composta la Repubblica italiana? Non lo sappiamo. Non sappiamo chi fa cosa tra Governo, Regioni, Comuni e ovviamente abbiamo recuperato per strada ciò che pensavamo di avere abolito e, cioè, le Province e creato ex novo le Città metropolitane. Con lo scopo più o meno consapevole di moltiplicare il tasso di confusione già elevatissimo su chi fa cosa e il risultato finale di produrre la peggiore governance decisionale europea e la paralisi ormai più che ventennale della capacità di fare spesa pubblica produttiva. Non si capisce chi in modo esclusivo ha questa o quella competenza. Non è chiaro chi in modo concorrente ha questa o quella competenza, concorrenza ovviamente priva di gerarchie e di per sé produttrice certa di immobilismo aggravato. Molte di queste competenze litigiosamente rivendicate dagli svariati livelli di non governo italiano sono dichiaratamente di competenza europea (ricerca, immigrazione e così via), ma noi facciamo finta di non rendercene conto e continuiamo nel solito gioco delle parti.
Le Regioni nascono come enti di programmazione, ma sono diventate molto spesso quello che in uno storico dibattito parlamentare, Ugo La Malfa previde in assoluta solitudine. Carrozzoni clientelari di livello superiore a quelli ministeriali incapaci di spendere nemmeno con ritardi decennali i fondi europei di coesione e sviluppo. Salvo gridare al furto di Stato quando un ministro serio, qual è Raffaele Fitto, pone il problema non di centralizzare, ma di responsabilizzare tutti (anche loro!) su progetti e decisioni perché non si scherza più. Nel senso che sono in gioco oltre 300 miliardi di soldi europei, la credibilità internazionale del Paese, e un’idea di Europa con l’Italia al centro che parte da un minimo di unione fiscale messa in comune. L’unico progetto serio che restituisce al nostro Paese la leadership mediterranea e il ruolo di Fondatore che abbiamo avuto nella nascita della vecchia Europa ma può essere messo in discussione nella costruzione della nuova Europa della solidarietà.
Benvenuti nel manicomio italiano dove si vuole mettere in discussione la presidenza della Repubblica e il ruolo di chi come Sergio Mattarella, al suo secondo mandato plebiscitariamente voluto dal Parlamento, rappresenta oggi il punto di massima stabilità istituzionale per l’Italia in casa e nel mondo. Perché esprime la forza della solidità morale della persona e, cosa ancora più importante, quella come tale percepita dalla comunità nazionale di donne e uomini di tutte le età. Quella gerarchia delle scadenze che i Padri Costituenti vollero con un mandato più lungo per l’inquilino del Quirinale, rispetto agli incarichi elettivi parlamentari e di governo, ha avuto storicamente nel primo mandato concluso e nell’inizio del secondo proprio in Mattarella l’esempio più concreto dei buoni frutti di una visione anticipatrice che dà stabilità e sicurezza al Paese in casa e fuori.
La vera schizofrenia della situazione attuale è che invece di occuparsi a testa bassa e tutti insieme di come semplificare e qualificare in modo concludente la macchina pubblica che danneggia l’economia europea più vitale, che è quella italiana, si apre un tavolo di riforme per fare insieme il nuovo presidenzialismo che si declina con un capo dello Stato o con un premier eletti direttamente dal popolo, inequivoco segnale a favore di un recupero di gerarchie decisionali a partire dal centro, e allo stesso tempo si persegue il disegno folle dell’autonomia differenziata che vuole frazionare l’unità nazionale in venti governi regionali con autonomia fiscale.
Un progetto che in modo costitutivo indebolisce la governance decisionale del Paese che si dichiara di perseguire e rischia di allargare in misura non più recuperabile il solco tra aree forti e aree deboli arrecando in prospettiva più danno alle prime che alle seconde. Questo secondo progetto dovrebbe essere tolto proprio dal tavolo con un impegno collettivo di maggioranza e opposizione a mettere invece subito mano al riequilibrio dei trasferimenti pubblici sui diritti essenziali dei cittadini, più volte evocati giustamente dal Capo dello Stato, utilizzando per scuola, sanità e trasporto le risorse europee che le Regioni non sanno spendere attribuendole pro capite in modo corretto, che vuol dire uniforme, a tutta la popolazione nazionale indipendentemente dalla città e dalla regione di nascita o di residenza.
Tolto di mezzo questo macigno, morale oltre che politico, il problema fondamentale è almeno rendersi conto che rispetto all’obiettivo che ci si propone di raggiungere ogni soluzione ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. La elezione diretta del premier, ad esempio, implica il problema che se il premier eletto non ritiene di essere più in grado di rispondere alle esigenze che il Paese pone si torna al voto e questo crea instabilità perché viceversa si potrebbe sfiduciare lui in Parlamento e mettere un altro al suo posto. La elezione diretta del Presidente della Repubblica vuol dire che il governo diventa una sua appendice e finirebbe con il tenere completamente fuori chi non lo ha votato e la pensa in modo diverso. Forse, potrebbe funzionare di più un meccanismo di sfiducia costruttiva nei confronti di chi governa che un cambio istituzionale così profondo come è quello della elezione diretta del Capo dello Stato in mezzo a questa giungla irrisolta di livelli di governo concorrenti di cui nessuno si preoccupa. Forse, potrebbe funzionare meglio ancora un cancellierato alla tedesca corretto con un’indicazione pre elettorale esplicita affiancato dalla istituzione finalmente di una Camera delle Regioni che esca da un regionalismo territoriale competitivo in modo miope per entrare finalmente in una fase di regionalismo non teoricamente ma fattualmente cooperativo affiancato e guidato da una sede istituzionale di cooperazione.
La statura della nostra democrazia è stata capace di sconfiggere il terrorismo di matrice rossa e nera che ha perso la guerra contro lo Stato che voleva sovvertire allargando gli spazi di partecipazione e attuando una vera politica di solidarietà nazionale. Oggi, per favore, non si torni a giocare con le istituzioni per avere qualche slogan in più da spendere nella campagna elettorale europea, ma ci si applichi piuttosto tutti insieme in un lavoro certosino di disboscamento dei livelli di governo paralizzanti e di recupero di organizzazione e efficienza decisionale dentro un sistema Paese rinsaldato nelle sue certezze morali e liberato dalle sue diffuse debolezze correttive. Questo, non altro, a nostro avviso, significa occuparsi seriamente del futuro istituzionale di questo Paese.
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