Il ministro Raffaele Fitto
8 minuti per la letturaChi continua a tirare il ministro dell’Europa per la giacchetta volendolo infilare in una polemica con il governo Draghi sbaglia obiettivo e spreca tempo. Perché l’operazione verità a cui Fitto sta sottoponendo ministeri e enti locali in una specie di stress test permanente è contro una malattia strutturale pluridecennale dove capi di gabinetto, direttori generali e mandarini regionali sono messi con le spalle al muro e fanno i conti con le loro inadempienze per iscritto. Lo zero spaccato di spesa di Regioni e ministeri contro il dissesto idrogeologico grida vendetta ed esige un cambio di registro. Bloccare il processo riformista in atto per tutelare qualche micro-concessione diretta dei Comuni è una posizione politica che mette a rischio 19 miliardi e non passerà. Sono in gioco 10 punti di Pil che sono l’unica arma che ha l’Italia per preservare un trend di crescita in un contesto globale avverso con un orizzonte temporale di legislatura
C’è un ministro del governo Meloni che si sottrae alla girandola delle interviste televisive e cartacee e non è il ministro dell’Economia che questo tipo di atteggiamento lo ha un po’ nelle regole di ingaggio. Si chiama Raffaele Fitto. Ha nelle sue mani la cassa della crescita italiana, centinaia di miliardi di fondi europei mobilitati per l’Italia tra Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e Fondo di coesione e sviluppo, ma soprattutto sulle sue spalle pesa la scommessa cruciale di attuare il processo riformatore concordato in Europa e trasformare l’Italia in un Paese che passa da 5 a 45/50 miliardi l’anno di spesa per investimenti pubblici. Capite da soli che è una doppia sfida da fare tremare vene e polsi a chiunque.
Questo ministro sta lavorando più sodo di tutti e parla solo nelle sedi istituzionali. Ha il vantaggio di avere conosciuto e praticato la materia da ministro degli Affari regionali, da presidente della Regione Puglia, da capogruppo dei conservatori europei e più volte relatore sulla gestione dei fondi europei. Sa di che cosa parla, insomma. La scelta politica di concentrare presso un unico ministro, in collegamento organico con la presidenza del Consiglio, le deleghe degli affari europei, dell’attuazione del Pnrr, delle risorse di coesione e sviluppo e del Sud, nasce proprio dalla conoscenza vera di questa emergenza nazionale con il suo carico di difetti strutturali da affrontare unitariamente e, come questo giornale ha scritto dal primo giorno, rappresenta la scelta politica strategica più rilevante del nuovo governo Meloni. Quella che denota visione e che in troppi continuano a sottovalutare.
Tale scelta strategica indica con chiarezza che questo governo non ha come orizzonte temporale la scadenza del 31 dicembre di quest’anno che coincide con la terza rata da 19 miliardi del Pnrr, né quella del 30 giugno dell’anno prossimo, ma piuttosto l’orizzonte temporale di una legislatura completa che scavalca la scadenza finale del programma nazionale di ripresa e di resilienza che è il 2026 e arriva fino al 2027 quando tutta questa massa enorme di quattrini europei deve essere stata messa totalmente a frutto e incanalata per le parti residue che vanno temporalmente oltre. Incanalata significa impegni giuridicamente vincolanti che realizzano nuova spesa effettiva. In questi passaggi sono in gioco dieci punti di Pil che sono anche l’unica arma che ha l’Italia per contrastare con successo un quadro globale pre-recessivo o recessivo tout court preservando in un contesto globale avverso il trend della crescita da miracolo economico ricevuto in eredità e accelerando sulla riduzione dei divari territoriali e delle diseguaglianze.
Chi continua a tirare Fitto per la giacchetta volendolo infilare in una polemica con il governo Draghi sbaglia obiettivo e spreca tempo.
Perché l’operazione verità a cui Fitto sta sottoponendo ministeri e Regioni in una specie di stress test permanente dove si fa un falò dei vecchi giochetti per sistemare le carte, non per aprire i cantieri, è contro una malattia strutturale pluridecennale italiana dove capi di gabinetto ministeriali, direttori generali e mandarini regionali vengono messi con le spalle al muro e sono costretti a fare i conti con le loro inadempienze messe per iscritto nero su bianco. Questo serve al Paese e viene prima di tutto e tutti.
La partita vera che sta giocando Fitto di cui i massimi livelli europei e italiani sono pienamente consapevoli è quella di fare subentrare alla credibilità internazionale che Draghi ha restituito all’Italia in termini di fiducia che si è tradotta in un’economia privata che investe e conquista quote di mercato del mondo, colleziona record nel turismo e nei servizi, una nuova, altrettanto importante credibilità di sistema Italia di lungo termine che si misura con la gravità dei problemi della sua macchina esecutiva centrale e territoriale e accelera sull’innovazione sia della governance degli investimenti sia dell’attuazione di tutte le riforme di sistema concordate.
Sulla scadenza più ravvicinata delle riforme da attuare che è quella che ha polarizzato l’attenzione della task force europea nella sua recente visita in Italia, la tabella di marcia è chiarissima. La settimana prossima si dirà papale papale in Consiglio dei ministri che se qualcuno ritiene che la posizione politica pesa più dei 19 miliardi della rata europea se ne assume pubblicamente la responsabilità. Questo qualcuno dovrebbe avere il coraggio di andare a dire agli italiani che per tutelare un pezzettino di concorrenza sacrosanto del trasporto pubblico locale fa perdere 19 miliardi agli italiani e, state tranquilli, che questo coraggio masochista non lo avrà nessuno e la riforma dei servizi pubblici locali si farà come si deve fare nei tempi e nei modi stabiliti. Questa modalità di azione riguarderà tutto il processo riformatore perché dietro di esso c’è l’onore della Repubblica italiana e perché serve al Paese. Chi dentro la Lega o dentro Forza Italia ha altri ragionamenti in testa è bene che se ne liberi velocemente.
Sulla seconda partita che riguarda gli investimenti pubblici e sulla quale la vigilanza dell’Europa diventerà progressivamente sempre più stringente a partire dall’anno prossimo Fitto partirà dall’operazione verità sull’utilizzo di queste risorse che va molto oltre il Pnrr e affronta un arco temporale che va dal 2014 al 2027 e dal necessario rafforzamento delle strutture attuative con scelte ponderate all’altezza della sfida. Si tratta di passare da una capacità imprenditoriale di spesa pubblica annua di 5 miliardi a una di nove/dieci volte superiore, pari a 45/50 miliardi l’anno, fino al 2026. Anticipiamo due numeri chiave dell’operazione verità che riguardano il dissesto idrogeologico che la tragedia di Ischia ha riportato alla ribalta del dibattito nazionale e che danno il senso della dimensione della sfida da vincere per il nuovo sistema Italia.
Dal monitoraggio in atto è emerso che su 1 miliardo e 300 milioni del Fondo di coesione e sviluppo 2014/2020 destinati a combattere il dissesto idrogeologico, sono stati impegnati 700 milioni e spesi zero due anni pieni dopo la scadenza ultima di utilizzo dell’intero ammontare. Sempre sullo stesso decisivo capitolato di spesa del Pnrr sono stati destinati 2 miliardi e 400 milioni dei quali sono stati impegnati zero e spesi altrettanto. Siamo sempre allo zero spaccato. Perché le Regioni hanno a cuore solo i loro progetti sponda, nulla più di marchette elettorali avviate in affidamento diretto in cui si frazionano capitali rilevanti dello sviluppo per massimizzare consensi, che a fine programma europeo fallito sono riusciti sempre a farsi finanziarie con la scusa che così non si perdono i quattrini.
Questo immondo giochetto deve finire perché è incompatibile con una strategia temporale di sviluppo che decide prima che cosa serve e soprattutto riesce a farlo. Sui ministeri, escluse alcune aree di eccellenza messe sotto stress anche dal governo Draghi, c’è uno standard diffuso organizzativo altrettanto inadeguato di quello regionale e non immune dai medesimi vizi corruttivi-clientelari che deve essere ribaltato totalmente se si vuole raggiungere l’obiettivo strategico. Non stiamo parlando del rincaro delle materie prime che vale per tutti i Paesi e impatta ovviamente sui singoli progetti né dei target strutturali di riforme da centrare, ma piuttosto della comune capacità esecutiva da riconquistare sia nella capacità di aprire i cantieri che si è scelto di aprire mettendo a fattore comune tutte le risorse europee disponibili sia nella capacità di fare i decreti attuativi che rendono le riforme effettive.
Ogni singolo ministero e ogni singola Regione, come tutti i soggetti attuatori a partire dai Comuni, sapranno prestissimo di quanto sono inadempienti e la frequenza delle riunioni della cabina di regia si moltiplicherà perché non c’è più la spesa pubblica lunga del Covid per occuparsi dei fragili e contrastare il caro bolletta ma servono gli investimenti e le riforme necessarie perché avvengano. Non si tratta più di predisporre le carte utilizzando tutto quello che c’era nei cassetti ma piuttosto di perseguire in modo effettivo la riunificazione infrastrutturale delle due Italie e sfruttare il credito per questa via riconquistato affinché l’Europa acceleri nel dare quelle risposte energetiche che Draghi ha chiesto prima di ogni altro leader politico europeo e di cui la von der Leyen ha dato riconoscimento pubblico l’altro giorno a Milano.
La rivoluzione vera di Fitto è la scommessa cruciale del governo Meloni. Perché passa di qui la credibilità futura del sistema Italia e la capacità di dare risposte riformiste e esecutive di cui l’Italia ha urgenza assoluta. Rendicontazione puntuale su ogni singolo progetto, due diligence e operazione verità non sono un’arma di lotta politica ma la base tecnica indispensabile per fare le cose. Che è quello che serve per stanare i gattopardi italiani del nulla a Roma e sul territorio e fare finalmente le cose che si è scelto di fare. Sono gli stessi che chiamavano Draghi Sire e che avevano e hanno a cuore solo le loro rendite private, non il bene del Paese. Hanno stufato e ora sanno anche che il giochetto sta per finire.
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