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L'intervento di Sergio Mattarella a Bergamo

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Vogliamo ringraziare pubblicamente quest’uomo, un po’ Moro un po’ Pertini, che si fa interprete del sentimento comune dei cittadini oltre che dell’unità del Paese e non perde la lucidità di indicare a tutti l’agenda dei problemi veri. Nessun federalismo può nascere su uno squilibrio nei trasferimenti pubblici pro capite tra abitanti di una regione e di un’altra, di un’area metropolitana e di un’area interna. Il suo discorso va alla radice e al cuore del problema italiano e dovrebbe essere al centro dello spirito comune della politica che sa interpretare la parte migliore dello spirito europeista e, di conseguenza, dell’azione di governo. Questa è la sola vera sfida dell’autonomia differenziata che non mette a rischio l’unità del Paese. Quello che è successo a Bergamo vuol dire che il senso dell’unità non è morto e questo ci conforta

“PUNTI fermi sono la garanzia dei diritti dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”.

Abbiamo deciso di pubblicare in prima pagina questa frase di Sergio Mattarella con cui conclude il suo storico discorso tenuto martedì all’assemblea nazionale dei Comuni (Anci) a Bergamo. Prendiamo l’impegno con i lettori di farlo tutti i giorni fino a quando sarò alla guida di questo giornale. Perché nessuno la dimentichi  e tutti operino per darle attuazione. Affinché  se ne percepiscano fino in fondo la profondità e il valore di cogenza. Anche perché a parlare davanti ai sindaci d’Italia che sono la prima linea di accoglienza dei bisogni delle persone, il motore e “la voce del Paese”, e al ministro per le Regioni e le Autonomie, Roberto Calderoli, è il Presidente della Repubblica che è il tutore dell’unità nazionale e, dunque, queste sue parole storiche rispondono pienamente al compito del Capo dello Stato italiano. Che evidentemente fa sentire il peso del suo magistero nel momento in cui l’unità nazionale è messa in qualche modo in discussione. Lo fa a modo suo senza polemiche inutili, senza alzare clamori, esercitando la pedagogia  nazionale della migliore tradizione dei suoi migliori predecessori.

Siamo davanti a un richiamo solenne del Capo dello Stato che va oltre il divario tra Nord e Sud e si estende alle differenze tra aree interne e aree metropolitane. Coglie, dunque, il filo sottile dei diritti di cittadinanza slabbrati della unità nazionale che riguarda il Sud come il Nord unendo il Paese nella incapacità di dare risposte di pari dignità a tutti i cittadini ri spettandone i livelli essenziali.  Coglie il senso decisivo della sfida politica di uscire dalla miopia di un economicismo strumentale che riproduce logiche aziendali distorte nella gestione del bilancio pubblico ed impedisce di tutelare la debolezza, anzi la aggrava. Si ignora per puri calcoli di bottega che la debolezza non è un costo da tagliare, ma un dovere da onorare, e si smarrisce in questo circuito vizioso che è l’esatto opposto di quello virtuoso quanto questa debolezza rappresenti come opportunità di crescita per l’intero Paese.

Sulla scuola come sulla sanità come sul trasporto pubblico locale, per non parlare dell’assistenza a anziani e disabili e del welfare per l’infanzia, non possono esistere differenze tra cittadini dello stesso Paese. Si tratta di rispondere ai principi fondanti dello spirito civile di una comunità nazionale e a quelli altrettanto vitali di un sano sviluppo della sua economia. Nessun federalismo, nemmeno il più sgangherato al mondo che è quello italiano, può nascere sul presupposto di uno squilibrio da decine e decine di miliardi l’anno nei trasferimenti pubblici pro capite tra abitanti di una regione e di un’altra, di un’area metropolitana e di una comunità delle zone interne. Su questo punto dobbiamo essere molto chiari perché non sono più possibili fraintendimenti. Ricatti polittici e giochetti sottobanco sì, ma fraintendimenti no.  Questo giornale ha condotto in assoluta solitudine la battaglia per l’operazione verità sulle distorsioni della spesa pubblica italiana che ha condotto alla nascita di una commissione di inchiesta parlamentare presieduta da Carla Ruocco.

Questa indagine, nella sede della sovranità parlamentare, ha portato alla certificazione da parte delle principali istituzioni statitistiche, contabili, economiche e territoriali dell’abnormità di differenza di trattamento tra chi nasce a Cosenza e chi nasce a Reggio Emilia, solo per fare un esempio. Il ministro delle regioni e delle autonomie dell’epoca, Francesco Boccia, parlò esplicitamene di oltre 61 miliardi.  Siamo davanti alla più clamorosa violazione dei diritti di cittadinanza a livello europeo che fa parte dei tratti costitutivi dell’unico grande squilibrio territoriale sopravvissuto in Europa che è quello italiano. Come tutti ormai sanno, grazie al lavoro di questo giornale, lo stratagemma che ha consentito tutto ciò, è stato quello di una sorta di federalismo all’italiana del 2009, che porta la firma dell’attuale ministro Calderoli, con il quale si è proceduto a stabilizzare nei fatti questa anomala geografia della spesa pubblica che dovrebbe essere diretta viceversa a garantire i beni comuni.  Si è detto: procediamo con la spesa storica, che rimarca abissi finanziari tra un territorio e l’altro, e si è preso un generico impegno a fissare i livelli essenziali di prestazione (Lep) comuni per tutta la popolazione che dovrebbero ridurre i margini di questi singoli abissi e tale impegno da allora a oggi non è mai stato onorato se non per un ambito importante ma ristretto. Che è quello dei livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) che riguardano asili nido e assistenza agli anziani e sono stati voluti con assoluta determinazione dal governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi.  

Per capire bene di che cosa stiamo parlando, i Leps sono stati inseriti nella legge di bilancio del governo di unità nazionale che è anche il primo dopo decenni ad avere reintrodotto nei documenti di bilancio del Paese la parola coesione, ma il divario esistente nel welfare per anziani e ragazzi non è nientr’altro che la risultante finale di divari annuali di trasferimenti pubblici operati dallo Stato tra un territorio e l’altro, scegliendo a monte chi è cittadino di serie A e chi di serie B. Come  ha documentato un recente studio della Banca d’Italia di cui ha riferito ieri da par suo Fabrizio Galimberti su queste colonne, dopo avere fissato i nuovi standard è emerso che “quasi due terzi dei bambini con meno di tre anni abitavano in ambiti territoriali sociali (Ats) prossimi ai livelli essenziali sociali (quelli fissati dal governo Draghi ndr) mentre nel Mezzogiorno l’83% risiedeva in ambiti che non raggiungevano nemmeno la metà del livello essenziale”.

Questi sono i fatti incontestabili della più che decennale miope vergogna italiana. Proprio tale assoluta vergogna civile, prima ancora che economica, era quella che la prima bozza di disegno di legge per l’autonomia differenziata del neo ministro Calderoli voleva addirittura cristallizzare a vita con lo stesso stratagemma utilizzato poco più di dieci anni fa con lui al timone dello stesso dicastero. Per tali ragioni avevamo scritto che tale bozza non era degna di un ministro della Repubblica italiana  perché ne disconosceva i principi fondanti e persisteva in quei raggiri tra spesa storica e ritardi nella definizione dei cosiddetti Lep che ci hanno portato al baratro attuale.  Avevamo chiesto di mettere sotto strettissima tutela politica e istituzionale il ministro Calderoli perché quella bozza presentava un problema istituzionale gigantesco in quanto una Regione non ha titolo per negoziare singolarmente con uno Stato perché vorrebbe dire che la Regione è a sua volta uno Stato. Anzi vorrebbe dire, scrivemmo, che l’Italia è già uno Stato federale che fa, per di più, figli e figliastri per cui alcuni sarebbero Stati federati e altri magari anche Stati ma non federati e non federabili. 

Tutto questo abominio senza neppure prevedere una clausola di supremazia dello Stato centrale nei paventati negoziati “fuorilegge” che hanno il solo scopo di stabilizzare per sempre la situazione di indebito vantaggio a favore delle regioni più ricche decretando che esistono nella scuola e nella sanità e in molto altro cittadini di serie A e cittadini di serie B. Questo capitolo infausto della storia politica italiana ora è chiuso e quella bozza è stata declassata a appunto. Perché la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha immediatamente messo sotto tutela politica strettissima il ministro Calderoli. Perché da Bergamo  il Capo dello Stato ha lanciato  un monito che suona alto e forte e assume i lineamenti del richiamo istituzionale che questo giornale si era permesso di chiedere. Vorremmo ringraziare pubblicamente quest’uomo, un po’ Moro un po’ Pertini, che si fa interprete del sentimento comune dei cittadini oltre che dell’unità del Paese come nessun altro e non ha mai perso la lucidità di indicare a tutti l’agenda dei problemi veri che non sono i tormenti del Pd o il folclore della rissa mediatica quotidiana. 

Il discorso storico di Mattarella a Bergamo va alla radice e al cuore del grande  problema italiano e dovrebbe essere al centro dello spirito comune della nostra politica che sa interpretare la parte migliore dello spirito europeista e, di conseguenza, dell’azione di governo. Mostra il valore più profondo del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione che è duplice perché vale in termini di dignità dei cittadini e di dignità di condizioni che devono porre i Comuni nella concreta possibilità di adempiere ai compiti loro affidati per potere garantire, non a parole, che quella sancita dignità paritetica dei cittadini sia reale. Il capitolo della pericolosissima deviazione istituzionale è stato chiuso. Quello che si deve  ancora consolidare è uno spirito di solidarietà che porti a capire che ogni autonomia passa prima per questo riequilibrio e che, siccome sono in gioco somme rilevantissime, è evidente che il riequilibrio non potrà mai avvenire totalmente a spese del bilancio pubblico italiano.

Bisogna usare la doppia leva del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza accompagnato da una contestuale visione riequilibratice di insieme nell’utilizzo di tutti i fondi europei e di un puntuale ridisegno di tutti i trasferimenti pubblici rivolti a scuola, sanità, trasporto pubblico locale, perché chi riceve troppo indebitamente trasferisca una parte di queste risorse a chi indebitamente continua a ricevere troppo poco. Questa è la sola vera sfida dell’autonomia differenziata che non mette a rischio l’unità del Paese. Quello che è successo a Bergamo vuol dire che il senso dell’unità non è morto e questo ci conforta.


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