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Si liberano 21 miliardi per l’energia con un deficit/Pil al 4,5% nel 2023, ma la tabella di marcia si ferma al 3% nel 2025 e viene confermata la traiettoria di riduzione del rapporto debito/Pil. Siamo, per fortuna, nel pieno di quel realismo responsabile che ci deve mettere in salvo fino a marzo e fare camminare nel frattempo l’Italia sui binari che conducono al treno europeo delle soluzioni strutturali.  Questa coerenza italiana in Europa con la linea Draghi che Giorgia Meloni ha esplicitamente espresso nella sua prima uscita a Bruxelles rappresenta un grande segnale di maturità che non potrà essere contraddetto. Per questo bisogna essere molto attenti nella legge di bilancio sulla tregua fiscale e non scherzare con le pensioni che la Lega continua a rilanciare

Abbiamo sostituito il bollettino del Covid con il bollettino dei barconi, ma a guidare la navigazione del nuovo governo Meloni è il bagno di realtà con l’economia. Si utilizzano al massimo le urgenze e si perfezionano gli strumenti, uguali e identici a quelli usati dal governo Draghi, per contrastare l’unica, vera emergenza che è quella del caro bolletta.

Si fa tutto il deficit possibile (4,5%) che consente di liberare 21 miliardi preservando una traiettoria di riduzione del debito/Pil che ci tutela rispetto ai mercati in fibrillazione globale e si concentra tutto l’intervento contro il caro energia. Affiancato da un intervento che vuole favorire estrazione e produzione di gas in casa che è di certo positivo. Soprattutto si preserva un percorso triennale che parte dal 4,5% del 2023 e porterà il deficit/Pil al 3% nel 2025 passando per un 3,7 nel 2024. Si utilizzerà il tesoretto di 10 miliardi lasciato in eredità dalla supercrescita  italiana del governo di unità nazionale e lo si concentrerà anche questo in buona parte per rinnovare tutti gli sconti sulle accise, i crediti di imposta alle imprese e i bonus sociali già più volte utilizzati per fare fronte ai bisogni di famiglie e imprese nel prossimo trimestre. Anche  se una piccola parte della dote del governo Draghi dovrà comunque coprire l’anticipo di spese indifferibili dell’anno prossimo. Pure  l’obiettivo di crescita del Pil (+0,6%) resta immutato.

Siamo, per fortuna, nel pieno di quel realismo responsabile che ci deve mettere in salvo fino a marzo e fare camminare nel frattempo l’Italia sui binari che conducono al treno europeo delle soluzioni strutturali. Che sono le sole che possono integrare con nuovo debito comune europeo e nuovi meccanismi di mercato a partire dal tetto dinamico il sostegno messo in campo con la nuova legge di bilancio e il nuovo decreto aiuti. Questa coerenza italiana in Europa che Giorgia Meloni ha esplicitamente espresso nella sua prima uscita all’estero, che è avvenuta non a caso a Bruxelles con tutti i massimi vertici delle istituzioni europee, ha i tratti costitutivi di un Paese diventato serio.

Di un Paese, cioè, che non cambia a ogni tornata elettorale i pilastri della sua politica  estera a partire da quella europeista e dalle scelte economiche che ne conseguono. Un grande segnale di maturità che non potrà essere contraddetto. Lo ribadiamo perché dentro il governo c’è chi insiste perché nella legge di bilancio entri un intervento significativo sulle pensioni oltre alla tregua fiscale. Giocare con la previdenza in questo frangente può produrre danni irreparabili ed è bene che chi deve decidere sia avvertito. Soprattutto è obbligatorio fare ragionare Salvini. 

Al netto di queste fibrillazioni sotto traccia, tutti gli interventi di politica economica interna messi in cantiere sono concepiti e realizzati nell’ambito delle compatibilità obbligate dei parametri di finanza pubblica e dei vincoli esterni determinati dalla guerra a livello di Europa e di mercati.

Non fatevi ingannare dalle misure di bandiera come gli annunciati interventi sulle politiche di controllo e di avvio al lavoro dei fruitori del reddito di cittadinanza. Perché dalla stretta si quantifica un introito di ottocento milioni/un miliardo e, quindi, siamo presumibilmente nell’ordine di un trentacinquesimo di una manovra complessiva che oscilla tra i trenta e i quaranta miliardi. Di una manovra che ha altri criteri formativi.

Si ha comprensibilmente l’esigenza di dire che non si fanno le stesse cose che faceva Draghi perché esiste innegabilmente un tema identitario degli elettori che hanno voluto il primo governo della Destra in Italia. Abbiamo già detto che è segnaletica, da questo punto di vista, la sostituzione del bollettino quotidiano del Covid con quello dei barconi, ma è molto importante, oltre che opportuno, che a Bruxelles si sia andati praticamente con le tabelline già preparate dal ministro Franco del governo Draghi.

Se è vero, come è vero, che già tre settimane fa, prima ancora che il nuovo governo giurasse, si è scritto che il deficit aggiuntivo ipotizzato era di 1 punto, oggi parliamo di 1,1, e quindi siamo esattamente lì. Parliamo, insomma, di quel punto in più di debiti che era stato già ipotizzato dal predecessore di Giorgetti a dimostrazione che c’è una continuità totale obbligata che fa da spartiacque tra il fronte che fa le cose e il fronte delle dissennatezze.

Le vere novità possono venire solo dall’Europa. A partire da quel tavolo tecnico che i buoni uffici del ministro Fitto hanno contribuito a costruire per verificare a stretto giro quanto si possa liberare tra le risorse europee colpevolmente inutilizzate per fare subito fronte all’emergenza energetica. Così come servirà per concordare tutto quello che si deve invece fare per mettere realmente a terra gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza che non può non risentire dei nuovi eccezionali rincari delle materie prime energetiche e, in genere, di un’inflazione che sembra scappare di mano. Oltre che dell’esigenza di una struttura di gestione tecnica più centralizzata come le deleghe a Fitto e il comitato strategico per il Sud presso la Presidenza del Consiglio lasciano intendere di volere perseguire. Perfezionare, infine, l’azione di intervento sugli extraprofitti è addirittura doveroso. Se si tiene conto che, a differenza del governo Draghi che è dovuto intervenire in corso d’anno infilandosi in una serie di ricorsi delle aziende colpite dalla nuova tassazione, il governo Meloni può mettere in sicurezza il provvedimento collocando un’addizionale sull’Ires dell’anno a venire delle aziende che hanno usufruito di extra profitti blindando tutto in legge di bilancio. Sono discontinuità virtuose di strumento dentro una continuità virtuosa di politica economica che non possono che aiutare.


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