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Abbiamo nei cromosomi la rincorsa con la frenata incorporata. Quasi ci vergogniamo di dimostrare di essere capaci di fare. Abbiamo avuto una settimana dove l’Italia e il suo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, hanno giocato un ruolo da player globale al Consiglio europeo, al G7, alla Nato. Siamo diventati un punto di riferimento in Europa e sullo scacchiere internazionale con un premier cosiddetto tecnico che trascina due leader politici come Macron e Scholz a dare un contenuto forte alla politica internazionale europea non sbagliando il bivio della storia tra autocrazie e democrazie. Abbiamo una leadership europea che è italiana e ha seguito anche negli Stati Uniti sul piano economico. Perché è Draghi, non un altro, che viene interpellato dalla ministra del Tesoro americano, Janet Yellen, per studiare le sanzioni economiche a Putin. Perché è sempre lui che sul tetto al prezzo massimo di gas e petrolio russi in circostanze straordinarie fa scuola e si porta dietro i Sette grandi. Siamo diventati la locomotiva europea e siamo anche capaci di rispettare gli impegni senza chiedere deroghe. C’è, però, un brodo culturale che alimenta il dibattito politico interno e nutre le pulsioni demagogiche e populiste perché ha bisogno di ripetere sempre che siamo i peggiori del mondo. Non è così, è vero l’esatto contrario, ma questo ci fa paura. Supereremo anche la paura.

Siamo un Paese che ha quasi paura di dimostrare di essere capace di fare. Abbiamo nei cromosomi la rincorsa con la frenata incorporata. Siamo un Paese che ha paura di diventare leader e di essere punto di riferimento in Europa e nel mondo. C’è un brodo culturale che alimenta il dibattito politico interno e nutre le pulsioni demagogiche e populiste perché ha bisogno di ripetere sempre che siamo i peggiori del mondo.

Non è così, è vero l’esatto contrario, ma questo ci fa paura. Abbiamo avuto una settimana dove l’Italia e il suo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, hanno giocato un ruolo da player globale al Consiglio europeo, al G7, alla Nato. Siamo diventati un punto di riferimento politico in Europa e sullo scacchiere internazionale con un premier cosiddetto tecnico che trascina due leader politici come Macron e Scholz a saltare il Rubicone di ogni forma di tentennamenti e tatticismi per arrivare in treno insieme a Kiev e dare un contenuto forte alla politica internazionale europea non sbagliando il bivio della storia tra autocrazie e democrazie.

Abbiamo una leadership europea che è italiana e ha seguito anche negli Stati Uniti sul piano economico e che è sempre riconducibile all’ex presidente della Bce. Perché è lui, non un altro, che viene interpellato dalla ministra del Tesoro americano, Janet Yellen, per studiare le sanzioni economiche a Putin. Perché è sempre lui che sul tetto al prezzo massimo di gas e petrolio russi in circostanze straordinarie e per un tempo limitato fa scuola in Europa e si porta dietro i Sette grandi. Siamo un Paese che, a differenza di quanto accadeva prima, rispetta gli impegni con Bruxelles nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e non si deve più presentare con il cappello in mano per chiedere deroghe che a volte vengono accordate a volte no e che anche quando chiede di prorogare la decontribuzione al Sud ottiene le certezze necessarie perché nell’anno della grande guerra le cose non cambino.

Siamo un Paese che è stato inserito nella governance globale del mondo con la leadership di progetti chiave come quello dell’inclusione attribuito al ministro dell’Istruzione italiana, Patrizio Bianchi, in sede Unesco a Parigi con il collega ucraino che riconosce davanti a tutti che il primo partner per coerenza di comportamenti e accoglienza è per loro l’Italia che si è portata dietro in modo limpido tutti gli altri. Che, tradotto, vuol dire che è finita la solita ambiguità della politica estera italiana che viceversa coglie il senso della storia di questa fase e fa le sue scelte che, a loro volta, hanno seguito e prenotano se non altro una posizione morale di rispetto nel nuovo, ineludibile, ordine mondiale.

Siamo, soprattutto, il Paese che è la locomotiva della crescita europea con un ritmo doppio di quello tedesco e performance nettamente migliori di quelle americane e francesi partendo dalla posizione più svantaggiata per la dipendenza energetica dallo Stato aggressore, la Russia, e per quella alimentare dallo Stato aggredito, l’Ucraina. Abbiamo tutti gli indici di fiducia di tutti i soggetti economici che vanno positivamente in controtendenza rispetto a quelli dei Paesi europei più avanzati. Presentiamo un rendiconto del 2021 dove il deficit/Pil che doveva essere all’11 scende al 7% e dove riusciamo a dare oltre 40 miliardi di sostegni a famiglie e imprese senza scostamento di bilancio e reindirizziamo il debito/ Pil programmato dal Conte 2 verso il 160 dieci punti sotto al 150%.

A fronte di tutto ciò al Presidente del Consiglio italiano che torna a Roma dal vertice Nato perché questo è l’ultimo giorno utile per tagliare l’Iva e azzerare gli oneri in modo da contenere i nuovi rincari energetici determinati dalla guerra di Putin all’Ucraina, prendere i provvedimenti che servono contro la siccità e approvare il rendiconto non si chiede della ripartenza del Paese e di ciò che è avvenuto sullo scenario globale ma della solita bottega politica italiana a base di messaggini di Grillo mai visti, mal di pancia pentastellati e leghisti, per scoprire l’acqua calda e, cioè, che non esiste un’alternativa al governo di unità nazionale guidato da Draghi per fare quello che sta facendo che è poi esattamente quello che serve agli italiani. Tutto ciò che l’Italia ha ottenuto e sta ottenendo in casa e fuori è frutto di questa esperienza di governo voluta con lungimiranza da Mattarella apprezzata da famiglie e imprese italiane che investono perché sono tornate a credere nel loro Paese e dagli stakeholder della politica e della finanza mondiali che tornano a ritenere l’Italia un territorio attrattivo. Questi spettacolini della politica della bottega italiana possono finire nella farsa o nella tragedia in quanto terzium non datur. Di sicuro dimostrano che, purtroppo, ci sono ambiti della politica che non hanno il senso del dovere nazionale.

Peggio di loro ci sono solo quegli intellettuali e quegli opinion leader che muoiono dalla voglia di dire che siamo i peggiori del mondo, che va tutto male, e che si tappano le orecchie e si mettono una benda davanti agli occhi. Per loro questo esercizio intellettuale è anche una forma assolutoria per tutti quelli che sono venuti prima. Sono tutti più tranquilli perché, tutto sommato, quell’Italia che va male o comunque non ce la fa o ce la fa giusto giusto o poco poco piace tanto a tutti e placa in modo consolatorio le invidie sociali.


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