Monsignor Zuppi e Papa Francesco (foto Avvenire)
6 minuti per la letturaHa scelto Francesco di mettere alla testa della nostra Chiesa una persona che fa leadership e che, fuori dal clericalismo, deve dare una mano a rimettere in sesto questo Paese in un mondo in crisi dove i cattolici sono in grado di contribuire per tornare a fare squadra in tutto. Nella politica come nell’economia, nella società, tra ricchi e poveri, aree metropolitane e periferie, nei ceti produttivi e nel sindacato, a partire dalla scuola e dall’università. Dovrebbero essere tutti concentrati a giocare e vincere la partita del Pnrr che è la scommessa del futuro, fatta di riforme di struttura e di investimenti pubblici, e, allo stesso tempo, l’opportunità storica, non ripetibile, offerta dall’Europa al Sud d’Italia. Che, purtroppo, non riesce a fare squadra. Si può salvare un Sud dove la ministra per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, va a Salerno per avviare l’iter del contratto istituzionale di sviluppo e non si presentano né il sindaco di Salerno, né il presidente della Provincia, né alcuno dei sindaci deluchiani della provincia di Salerno di cui il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, è da sempre feudatario assoluto? I grandi dirigenti della Dc si odiavano molto di più di adesso, ma non hanno fatto mai mancare la loro presenza in tutte le riunioni ufficiali.
MATTEO Zuppi è il nuovo presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei). Papa Francesco ha scelto e dimostra, con questa scelta, che la Chiesa ha capito che bisogna fare squadra e tornare in campo. Sono in troppi a non averlo capito. La presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ad esempio, che mentre milioni di nordafricani rischiano la fame e gli europei sanno di dovere pagare prezzi stellari per pane e pasta, dichiara a Davos: non siamo in modalità panico. Frase che detta dalla presidente della BCE è quanto meno inopportuna e ci fa molto interrogare sulla capacità esiziale di cogliere la differenza tra l’inflazione europea e quella americana.
Potremmo proseguire con chi tra i capi partito italiani senza percepirne neppure il ridicolo, in un mondo che teme una nuova stagione di recessione e sta riscrivendo tutti i suoi equilibri senza riuscire a capire che la partita è se comanderanno le autocrazie o le democrazie, fa crociate indecorose sui balneari che ricordano battaglie altrettanto indecorose in epoche molto diverse contro la liberalizzazione delle farmacie. Che, come si è visto, non ha peraltro prodotto nessuno dei disastri paventati. O le voci che si sovrappongono tra Capi di Stato europei e Presidente e vicepresidenti della Commissione europea senza che nulla accada di concreto dopo il Next Generation Eu, e invece si produca molto rumore dannoso perché divisivo e inconcludente. Per non parlare delle missioni asiatiche di Biden dove nessuno tra Stati Uniti e Cina dice nulla di diverso da quello che potrebbe dire, ma lo dice in pubblico ora e evidenzia plasticamente quanto sarebbe più utile al cessate il fuoco e alla pace da costruire un silenzio operoso.
Papa Francesco ha scelto l’arcivescovo di Bologna e, quindi, ha scelto “il prete e vescovo del Vangelo in ascolto di tutti”, parole della comunità di Sant’Egidio, ma soprattutto ha scelto, a nostro avviso, una personalità che sa stare in pubblico, che non fa moralismi ma dialoghi, che ha ricostruito la storia dei vescovi fustigatori della Bologna sazia e delusa e che ha la consapevolezza che ora bisogna ricompattare il Paese. Scegliendo Zuppi, Papa Francesco ha dimostrato di capire che oggi non basta più neanche il discorso importantissimo della carità ben rappresentato da altri autorevoli candidati, ma che è addirittura più urgente riprendere in mano la crisi intellettuale del Paese.
Un discorso che vale pari pari sull’Europa e, quindi, su una realtà che ha sorpreso positivamente tutti con gli eurobond della pandemia ma è subito ritornata in una crisi profonda. Che impone l’urgenza di ritrovare la saldezza di una guida collegiale che la conduca velocemente a un’Europa federale compiuta. Arriveremo a dire che Francesco ha fatto con Zuppi per la Chiesa italiana il parallelo della scelta di Mattarella con la chiamata di Draghi alla guida del governo nazionale. Ha scelto Francesco di mettere alla testa della nostra Chiesa una persona che fa leadership e che, fuori dal clericalismo, deve dare una mano a rimettere in sesto questo Paese in un mondo in crisi dove i cattolici, riconoscendo di fare parte di questa crisi, sono in grado di dare una mano per tornare a fare squadra in tutto. Nella politica come nell’economia, nella società, tra ricchi e poveri, aree metropolitane e periferie, nei ceti produttivi e nel sindacato, a partire dalla scuola e dall’università. Dovrebbero essere tutti concentrati a giocare e vincere la partita del Piano nazionale di ripresa e di resilienza che è la scommessa del futuro, fatta di riforme di struttura e di investimenti pubblici, e, allo stesso tempo, l’opportunità storica, non ripetibile, offerta al Paese dall’Europa solidale dei giorni terribili della pandemia globale.
Su questo punto, consentiteci di fare una riflessione amara che riguarda il nostro Sud e chi ha impegnato tre anni di lavoro per stimolare un dibattito culturale prima di verità e poi di operatività per correggere le storture dei diritti negati e cogliere con spirito nuovo le opportunità offerte da scelte nuove di bilancio pubblico e dalla storia che combatte perché il Sud diventi l’hub energetico del Paese e il territorio di maggiore attrattività per mettere in sicurezza le filiere produttive europee e fare rivivere l’economia privata dei suoi territori.
Siamo costretti a chiederci, ma si può salvare un Sud in cui non si sa fare squadra? Si può salvare un Sud dove la ministra per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, va a Salerno per avviare l’iter del contratto istituzionale di sviluppo e non si presentano né il sindaco di Salerno, né il presidente della Provincia, né alcuno dei sindaci della provincia di Salerno di cui il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, è da sempre feudatario assoluto? Dove si ritrovano lei e il prefetto intorno al tavolo e in sala tutti i sindaci della provincia che non sono di fede deluchiana?
Si può arrivare dentro a una macchina pubblica che deve fare sforzi giganteschi per evitare di ripetere le figuracce storiche nell’utilizzo dei fondi di coesione e sviluppo anche con il Pnrr e le sue scadenze di giugno, a simili plateali manifestazioni di dissenso politico nel cui merito non entriamo, ma che vanno così spudoratamente contro gli interessi dei cittadini della comunità salernitana boicottando un’iniziativa che vale centinaia di milioni? Si ricordino tutti che i grandi dirigenti della Dc si odiavano molto di più di adesso, ma non hanno fatto mai mancare la loro presenza in tutte le riunioni ufficiali. Anche questo bruttissimo episodio di questa giornata salernitana è una faccia rivelatrice della situazione “apocalittica” che segna il passaggio italiano alla post modernità.
A nostro modo di vedere, è anche la più subdola perché si rifugia dietro paraventi formali e nasconde il tasso di nepotismo familistico a cui si è ridotta la politica in certi territori. Sono cose a cui non vorremmo assistere e, tanto meno, scriverne perché ci producono imbarazzo.
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