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Il primo ministro cinese Li Keqiang col cancelliere tedesco Olaf Scholz

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Non ci resta che sperare che il prossimo G20 faccia  maturare un dialogo tra le due superpotenze, Stati Uniti e Cina, che aiuti il ritorno della pace, ma non possiamo non sottolineare che oggi l’Europa ha tutto per svolgere il ruolo della terza parte che sposta gli equilibri in un mondo che non può tenere fuori dalla partita Africa e India. Il nuovo ordine mondiale innescato dalla guerra   fornisce all’Europa un assist formidabile per recuperare la capacità di ritrovare la propria identità, fare nuova politica industriale comune, investire sulle tecnologie del futuro. Tutto questo, però, richiede visione politica mentre noi ci ritroviamo a fare i conti con solisti modesti alla Scholz che ripercorrono le orme del pasticciaccio tedesco della Merkel con Russia e Cina senza nemmeno avere l’esperienza e le doti che appartenevano a chi lo ha preceduto 

Non c’è la nuova Europa se il problema resta quello di trovare sbocchi di mercato per i propri prodotti senza mai agire come un unico nuovo player globale. Se si esita a fare gli acquisti comuni di energia come si possono fare gli acquisti comuni delle “terre rare” che restituirebbero all’Italia il ruolo di piattaforma strategica dell’Europa con la sua straordinaria posizione al centro del mare di mezzo di fronte all’Africa? Come si può pensare di inserirsi nei grandi business del futuro tra le due superpotenze cinese e americana se non si uniscono forze, intelligenze e risorse e non si capisce che bisogna partire dal Mediterraneo? La paura del futuro interessa tutta l’Europa ma ognuno cerca la sua strada e fa fatica a percorrere una strada comune. Perché nell’attesa della tempesta ognuno cerca di scavarsi il suo rifugio, non il rifugio comune. Perché stringi stringi non c’è fiducia reciproca e c’è qualche difficoltà a mettere insieme Germania e Cipro. Che è la stessa cosa di dire che c’è difficoltà a mettere insieme Francia e Ungheria.

Sono in gioco banalmente dimensioni di sviluppo economico profondamente diverse. Non è possibile che ogni volta che la Commissione e il Parlamento europei alzano i toni e indicano la Cina come rivale sistemico arrivando a dire che va contenuta nella sua ascesa in chiave geopolitica, c’è un cancelliere tedesco, prima era la Merkel ora è Scholz, al timone della prima economia europea che si precipita alla corte di XI Jinping per fare affari. Questa volta lo ha fatto con al seguito anche la squadra dei primi capi azienda del Paese. Sono in ballo 250 miliardi di interscambio commerciale in euro che sono più di tre volte l’interscambio cinese dell’Italia che è un Paese altrettanto vocato all’export come la Germania.

Per non parlare degli intrecci sempre con la Cina sia come grande mercato di sbocco dei prodotti tedeschi sia come fonte di approvvigionamento di “terre rare e materiali critici” per la sua grande industria. Sottacendo degli ingressi nel capitale della società che detiene uno dei moli del porto di Amburgo della compagnia di Stato cinese Cosco. Dopo Scholz sarà la volta di Macron che avrebbe voluto già infilarsi in questo primo incontro di persona con il nuovo Mao a vita cinese.

I mercati e le economie sono tutti interconnessi e da queste iniziative dei grandi capi di Stato europei che vanno contro le lancette della storia del nuovo conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo occidentale, si capisce che le interdipendenze sembrano resistere anche alla parziale deglobalizzazione innescata dalla guerra di invasione di Putin all’Ucraina nel cuore dell’Europa.

Non ci resta che sperare che il prossimo G20 faccia maturare un dialogo tra le due superpotenze, Stati Uniti e Cina, che aiuti il ritorno della pace, ma non possiamo non sottolineare che l’Europa, se solo lo capisse, avrebbe una serie di straordinari vantaggi dall’uscita da un mondo prima unipolare poi bipolare svolgendo il ruolo della terza parte che sposta gli equilibri in un mondo che alla fine non potrà non essere multipolare perché non si possono tenere fuori dalla partita Africa e India.

La storia di questi giorni terribili segnati da una guerra che ha determinato un coacervo di shock economici, finanziari e sociali tali da portare alla definizione di un nuovo ordine mondiale, fornisce all’Europa un assist formidabile per recuperare la capacità di ritrovare la propria identità, fare nuova politica industriale comune, investire sulle tecnologie del futuro. Tutto questo, però, richiede visione politica mentre noi ci ritroviamo a fare i conti con solisti modesti alla Scholz che ripercorrono le orme del pasticciaccio tedesco della Merkel con Russia e Cina senza nemmeno avere l’esperienza e le doti dei grandi politici di razza che appartenevano a chi lo ha preceduto.

Siamo messi così, purtroppo. Restiamo, tuttavia, dell’opinione che l’Europa deve uscire dalla sua retorica puramente valoriale, a tratti addirittura astratta, e seguire la rotta del pragmatismo che Draghi come capo politico della nuova Europa ha espresso sia alla guida dell’unico governo europeo esistente che è quello della moneta sia alla guida del governo italiano. Non si può continuare a bloccare le fusioni tra i pochi grandi player che l’Europa ha in nome di principi astratti di concorrenza quando la Cina compete con colossi ferroviari di dimensioni dieci volte superiori. Bisogna lavorare seriamente per costruire un’Europa che recuperi centralità tecnologica, moltiplichi all’ennesima potenza il numero di aziende sopra il miliardo di fatturato e, soprattutto, sfrutti finalmente a dovere la piattaforma italiana del Mediterraneo. Che consegna al nostro Mezzogiorno la guida geopolitica della Nuova Europa perché ne può garantire l’indipendenza energetica e l’approvvigionamento dall’Africa delle “terre rare” senza le quali non si può neppure scendere in campo nella partita dell’economia del futuro.

Il pasticciaccio tedesco putiniano e cinese è incompatibile con questo disegno o, per lo meno, fa molta fatica a convivere con questo processo strategico di sviluppo che apporterebbe benefici a tutti. La nuova Europa, però, passa di qui. Se non lo si capisce si va a sbattere.


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