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I partiti sono tutti presi da un cupio dissolvi che è il desiderio masochista di cancellare il periodo dell’esperienza di unità nazionale. Che significa rimuovere dal calendario della storia che si sia potuto fare in Italia, non in Germania o in Francia, un governo europeo rispettato nel mondo capace di conseguire il primato della crescita e di avviare un processo riformatore compiuto. L’importante per tutti è tornare a un controllo totale della politica di ogni spazio libero. Lo spettacolo imbarazzante delle candidature e delle alleanze evidenzia il peccato originale della politica italiana. Vogliamo considerare l’Italia come un Paese maggiorenne uscito dalla pigrizia del populismo, consapevole della forza della nostra economia e dei risultati conseguiti con il metodo Draghi e capace di esprimere una leadership politica all’altezza. Non vediamo, purtroppo, questa coerenza di comportamenti e ci preoccupiamo. Anche perché in autunno bisogna cercare 40 miliardi che non abbiamo e parliamo di nuove voci di spesa elettorale che non potremo mai distribuire perché non sappiamo come finanziarle. Anche questo fa parte della serietà che il Paese non si può permettere di perdere
Quello che impressiona è la capacità di rimozione dei partiti di ciò che si è fatto. Di ciò che loro azionisti di maggioranza del governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, hanno fatto. Sono tutti presi da un cupio dissolvi che è il desiderio masochista di cancellare questo periodo. Che significa rimuovere dal calendario della storia che si sia potuto fare in Italia, non in Germania o in Francia, un governo europeo capace di conseguire il primato della crescita e di avviare un processo riformatore compiuto. Che significa cancellare l’esperienza di un governo tecnico-politico sopra le parti che ha rappresentato la felice espressione di un governo di esperienza internazionale rispettato nel mondo.
L’importante per tutti è tornare a un controllo totale della politica di ogni spazio libero. Senza risparmiare lo spettacolo imbarazzante delle candidature e delle alleanze che, con un sistema elettorale fatto su misura per favorire nomenclature e matrimoni politici contro natura, evidenzia il peccato originale della politica italiana. Colpisce davvero nei giorni terribili degli shock inflazionistici, energetici, monetari di origine bellica, con la guerra di invasione della Russia di Putin in Ucraina che non si ferma e le tensioni in Estremo Oriente che salgono di tono, non sentire mai la Lega rivendicare il record assoluto del turismo italiano, di cui ha la responsabilità del dicastero, segnato da arrivi internazionali senza precedenti.
Colpisce in egual misura vedere il Pd annunciare nuovi contratti miliardari per la scuola italiana senza dire mai, neppure una volta, che alla stessa scuola italiana il ministro tecnico di area Pd, Patrizio Bianchi, in diciotto mesi di governo Draghi di miliardi ne ha dati 14 – nuova edilizia scolastica per 10 e digitale per altri 4 – con sei riforme esecutive a partire dagli istituti tecnici e quelli tecnologici e con una norma meritocratica per i professori esperti contestata dai soliti sindacati e voluta dall’Europa a cui lo stesso Pd si richiama quando parla di stipendi europei per i nostri docenti.
Per non parlare del dibattito sul presidenzialismo del centrodestra che sul piano logico è inconsistente buttato lì così d’emblée sotto l’ombrellone elettorale quasi che si possa fare tutto senza neanche una riflessione. Quasi che si possa ripetere con Mattarella il giochino fatto con Draghi senza fare pagare agli italiani un prezzo così elevato da fare cadere tutto il loro castello. Quasi che puoi prendere la Costituzione e la butti al macero come il menù di una pizzeria. Quasi che si possa ripetere con gli elementi fondanti della Repubblica italiana lo squilibrio che è stato fatto dando i poteri alle Regioni che ancora oggi paghiamo in termini di competitività del sistema Paese e di divaricazione delle due Italie.
Stiamo pedalando sui tornanti estivi di questa campagna elettorale con una dissennatezza infinita e una leggerezza veramente impressionante. Letta, uomo di storia moderata e di esperienza internazionale riconosciute da tutti, ha tolto dal campo elettorale del Pd la Sinistra riformista schiacciandosi sull’altra Sinistra che coincide con quella estrema di Fratoianni e quella interna nostalgica dell’alleanza con i Cinque stelle dopo avere dato a Calenda sei volte di più in termini di seggi senza ritrovarselo in squadra e dopo avere impallinato ogni candidatura interna di provenienza renziana e molte di quelle riformiste benché la dissociazione di tutti i papabili fosse stata pubblica e ripetuta. Dare un seggio sicuro a Fratoianni e lasciare fuori Ceccanti, per capirci, significa non andare molto lontano perché questi errori si pagano. Difficile, molto difficile, districarsi in questi meandri incomprensibili della politica dove Letta che ha una storia di centro diventa il capo della sinistra e Bonaccini che ha una storia di sinistra si candida a diventare il capo dei riformisti di provenienza centrista.
Fa il suo gioco razionale obbligato Letta per prendere i voti che può prendere sul fronte allargato della sinistra dopo il traumatico divorzio in viaggio di nozze con Calenda, che spostava l’asse di attenzione sul ceto moderato, ma tutto ciò fa comunque un certo effetto e crea disorientamento negli elettori. Sul fronte opposto la Meloni si sposta al centro per fermare il tandem Calenda-Renzi, parla di realismo rivolgendosi ai suoi alleati che sono Lega e Forza Italia e mette una pezza con Mattarella sul presidenzialismo, ma le onde centrifughe della politica di destra in campagna elettorale non sono controllabili e si comincia a scherzare con il fuoco del Piano nazionale di ripresa e di resilienza dove un Paese serio onora gli impegni assunti con l’Europa e fa quello che deve fare. Che non vuol dire rinunciare dove è necessario a migliorare le cose, ma solo evitare di fare il bullo con uno più forte di te che te la fa pagare e non ti stacca più neppure l’assegno.
Non abbiamo piacere a scrivere quello che stiamo scrivendo, ma abbiamo il dovere di farlo. Vogliamo considerare l’Italia come un Paese maggiorenne uscito dalla pigrizia del populismo e capace di misurarsi con i problemi chiave della denatalità e dei passaggi generazionali delle imprese affidandosi a schieramenti politici e al loro presidente del consiglio consapevoli della forza della nostra economia e dei risultati conseguiti con il metodo Draghi su tutti i versanti. Non vediamo, purtroppo, questa coerenza di comportamenti in queste prime battute della campagna elettorale e ci preoccupiamo. Anche perché se c’è una eredità vera di Draghi è quella della capacità di decidere affrontando i problemi per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero, e fornendo le soluzioni possibili, non quelle inventate dalla demagogia. Farebbero bene a ricordare tutti quelli che si candidano a governare questo Paese che in autunno ci attende una manovra da 25 miliardi ai quali probabilmente se ne dovranno aggiungere altri 15 per un punto di deficit di Pil in più causa minore crescita determinata dalle difficoltà del resto del mondo e dalla crisi di fiducia interna da sventare.
Bisogna cercare 40 miliardi che non abbiamo e continuiamo a parlare di nuove voci di spesa elettorale che non potremo mai distribuire perché non sappiamo come finanziarle. Anche questo fa parte della serietà perduta di questo inizio di campagna elettorale che il Paese non si può permettere di perdere.
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