Mario Draghi e una parte dei ministri del suo governo
5 minuti per la letturaGli italiani hanno capito che se si vogliono davvero ridurre le diseguaglianze, ricucire le due Italie e dare al Paese intero a partire da chi soffre di più l’economia e le opportunità di lavoro che sono necessarie, l’agenda sociale di Draghi è quella giusta. Letta e Calenda sono più credibili di fronte all’Europa quando dicono di volere raccogliere l’eredità internazionale di Draghi. Questa eredità internazionale di Draghi è rivendicata con altrettanta forza dalla destra della Meloni che sottolinea la scelta marcatamente atlantista compiuta e fa di tutto per tranquillizzare gli elettori sulla volontà di muoversi nel solco tracciato da Draghi in economia a partire da quel realismo nelle promesse e nei comportamenti che è la base del miracolo economico italiano di questo anno e mezzo
Letta e Calenda sono più credibili di fronte all’Europa quando dicono di volere raccogliere l’eredità internazionale di Draghi. Fanno parte naturalmente dell’equilibrio europeo che intendono tutelare. Tengono insieme il centrosinistra e rappresentano la vera alternativa alle destre. Giocano la loro partita che dicono, semplificando, è quella di un’Italia legata ai grandi Paesi europei come Francia e Germania che è l’esatto opposto dell’Europa degli amici di Orban e di Putin. Il punto è che l’eredità internazionale di Draghi è un unicum non ripetibile perché ha di fatto impersonificato la leadership della Nuova Europa, la diversificazione a tempi di record della nostra politica energetica e la prenotazione di un ruolo di primo piano dell’Italia nel nuovo ordine mondiale che si sviluppa sull’asse Sud-Nord invece che Est-Ovest.
Dopo avere rappresentato con successo per otto anni con la sua faccia il governo dell’unica Europa esistente che è quella della moneta. Soprattutto il punto è che questa eredità internazionale di Draghi è rivendicata con altrettanta forza dalla destra della Meloni che sottolinea la scelta marcatamente atlantista compiuta e fa di tutto per tranquillizzare gli elettori sulla volontà di muoversi nel solco tracciato da Draghi in economia a partire da quel realismo nelle promesse e nei comportamenti che è la base presente del miracolo economico italiano di questo anno e mezzo riconosciuto da tutti nel mondo e la base futura di un cambiamento di lungo corso del Paese fatto di riforme di sistema, di fiducia e di credibilità.
Ovviamente i linguaggi dei due schieramenti che si contendono il governo del Paese sono differenti. Una cosa è dire “facciamo nostra l’agenda Draghi” salvo avere come compagni di viaggio anche chi ha votato sempre contro e un’altra è fare capire che ci si muoverà in quel solco per diradare dubbi internazionali e tensioni nel mondo produttivo interno. Facendo insomma un po’ di acrobazie retoriche e anche di conti a muso duro con la realtà. Resta il fatto che la sensazione che si ricava è quella di una competizione l’una contro l’altra tra i due schieramenti e dentro i singoli schieramenti a chi rivendica di più e con maggiore titolo un metodo di governo in casa che significa dire dei sì e dei no, dalla finanza pubblica ai rigassificatori per capirci, metodo Draghi, e ancora una competizione a chi rivendica di più una collocazione europeista, atlantista, che è quella dell’architetto politico della Nuova Europa, del più americano dei banchieri centrali europei salvatore dell’euro, e del primo dei grandi leader europei a sostenere lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea della Ucraina e a condurre fuori da ogni titubanza tattica Macron e Scholz nel rapporto con Putin.
Perché questi sono i fatti nudi e crudi che in misura incompleta rappresentano l’eredità internazionale del governo Draghi. Per cui diventa impossibile non constatare l’assurdità di avere fatto saltare il governo Draghi se sono poi tutti a contendersene l’eredità. Arrivando, per fortuna, perfino la Destra ad accentuare il suo profilo conservatore nel confronto con il ceto dirigente preservando l’anima rivoluzionaria nel rapporto con la base e presentandosi con il primo abito, al di là e al di qua dell’Atlantico, nelle interlocuzioni con gli Stati e con i mercati. Questa è la situazione italiana resa ancora più complicata da un contesto internazionale dove tutte le leadership occidentali hanno qualche problema. O perché sono azzoppate dal voto come nel caso di Macron in Francia o perché non escono dal limbo di una debolezza che sembra congenita come nel caso del cancelliere tedesco Scholz e del presidente degli Stati Uniti Biden.
Una grande potenza democratica, quella americana, dove tutti fanno come vogliono rischiando anche l’incidente con la Cina su Taiwan, di cui francamente non si sente proprio il bisogno in pieno conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo democratico. Come se non avessimo già un problema Putin che diventa giorno dopo giorno più pesante. Ne abbiamo già uno grosso di problema, provocare perché ne emerga subito un altro che ci sarebbe comunque, ma verrebbe un po’ dopo, denota quanto meno velleitarismo politico se non proprio pericoloso dilettantismo. Forse, a questo punto, siamo arrivati al dunque. Si possono evocare direttamente tutte le agende Draghi che si vogliono o si possono accreditare tutte le coerenze possibili sul piano internazionale con il suo operato, con la stravaganza che lo faccia più la destra della Meloni che era all’opposizione che i suoi alleati Lega e Forza Italia che erano al governo, ma nessuno meglio di lui potrebbe esprimere quella leadership che da solo apparentemente tecnica diventerebbe politica tout court dopo avere già dimostrato in casa e fuori di saperla esercitare con il linguaggio della verità e il pragmatismo dei comportamenti che la complessità della situazione attuale richiede.
Non è più tempo di storielle e di promesse facili, gli italiani lo hanno capito. Come hanno anche capito che in un momento di crisi globale senza precedenti a noi è andata molto meglio che ai tedeschi tanto per fare un esempio che indica il segno di una storia che rompe tutti i luoghi comuni. Soprattutto gli italiani hanno capito che se si vogliono davvero ridurre le diseguaglianze, ricucire le due Italie e dare al Paese intero a partire da chi soffre di più l’economia e le opportunità di lavoro che sono necessarie l’agenda sociale di Draghi è quella giusta. Con il voto faranno capire bene chi è il leader e qual è il programma che vogliono che quel leader possa attuare. Si chiama Mario Draghi. Noi lo speriamo fortemente perché questo è il vero interesse generale del Paese da preservare. A ogni costo. Se facessimo il contrario nessuno ce lo perdonerebbe.
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