Giorgia Meloni
6 minuti per la letturaL’impudenza sui conti pubblici non ci è stata. Questo è il coraggio che il governo Meloni ha dimostrato nei confronti di Europa e mercati ricalcando l’attenzione dell’ultima manovra di Draghi per imprese e ceti deboli con solo qualche concessione a un po’ di frattaglie elettorali. Il coraggio che serve ora è quello della ricomposizione della spesa tra consumi e investimenti mettendo questi ultimi in cima all’agenda e evitando di ripetere che il Sud non ha le capacità per fare le cose. Chi governa deve risolvere i problemi non esporli attuando le riforme del Pnrr, aprendo subito i cantieri nel Mezzogiorno, mobilitando investimenti privati e attraendo capitali esteri. Perché il lavoro per chi dal 2024 non avrà più il reddito di cittadinanza si costruisce così e serve una frustata di entusiasmo per sfruttare l’occasione storica che consente all’Italia, grazie al suo Sud, di diventare la piattaforma dell’internalizzazione europea della manifattura tedesca e la capitale energetica per l’intera Europa
L’impudenza sui conti pubblici che molti temevano non ci è stata. Questo è il coraggio che il governo Meloni ha dimostrato nei confronti di Europa e mercati con la sua prima legge di bilancio. Che resta con i piedi ben piantati nel solco di responsabilità tracciato dal governo Draghi ispirato a garantire tutto il sostegno possibile con i margini di finanza pubblica a imprese e fasce deboli senza interrompere la traiettoria di riduzione del rapporto debito/Pil. Non era scontato soprattutto su temi sensibili come quelli previdenziali, tregua fiscale e tassazione del lavoro autonomo dove di fatto si è comprato tempo senza compiere le scelte strutturali necessarie.
Perché non basta certo qualche aiuto in più sull’assegno unico familiare e a chi fa più figli per combattere il problema demografico italiano e fronteggiare i 130 miliardi di spesa previdenziale cumulata aggiuntiva nel triennio 2023/2025 rispetto al 2022. È un dato di fatto, però, che si è scelto di limitare i danni delle bandierine sventolate in campagna elettorale aprendo qualche finestra intermedia e dando piccole concessioni al lavoro autonomo. Sul piano fiscale rateizzazioni e interventi su un extra di commissioni presente solo in Italia non possono essere onestamente scambiati per un nuovo condono. Farei la tara sulla propaganda congenita di Salvini che accompagna l’esposizione di queste scelte e trasferisce messaggi di indulgenza che nei fatti non ci sono raddoppiando il danno. Perché le nuove entrate non arrivano e il messaggio sbagliato comunicato non aiuta la formazione di stimoli positivi a fare di più che sono i soli a alimentare reddito, lavoro e gettito fiscale.
Questo dato di fatto complessivo di prudenza, responsabilità e sostenibilità non può essere ritenuto scontato da parte di nessuno vista la composizione politica dell’attuale maggioranza di governo e andrà vigilato sul lato delle coperture per gli interventi che vanno oltre lo scostamento concordato di 21 miliardi. Esprime un coraggio consapevole perché l’anno prossimo andranno collocate sul mercato emissioni nette per oltre 70 miliardi e ci sarà da conteggiare anche la parte non reinvestita dalla Banca centrale europea sui titoli pubblici per cui il netto da collocare salirà ancora e, quindi, la grande attenzione sulla politica di bilancio non può essere garantita solo a parole.
Perché prima c’era la deflazione e la politica monetaria era accomodante, creava moneta, acquistava montagne di titoli, ora invece c’è l’inflazione e questo rischio a due cifre frena gli acquisti della Bce e, di conseguenza, ci sono montagne di titoli nuovi da collocare che se c’è fiducia nel Paese vengono rinnovati se non c’è fiducia no. Quello che è certo è che queste nuove emissioni non possono essere rinviate e devono essere assorbite dai risparmiatori che smobilitano i loro depositi dai conti correnti bancari e dagli acquisti dei grandi Fondi che incanalano lo stesso risparmio.
Detto tutto ciò c’è invece un altro coraggio che ancora manca ed è assolutamente cruciale che si esprima al più presto. Il coraggio di dire chiaro e tondo che il processo riformatore compiuto avviato dal governo Draghi nel Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr) non si fermerà a partire da concorrenza, giustizia e pubblica amministrazione e, soprattutto, che la macchina degli investimenti pubblici e la loro collocazione strategica nel Mezzogiorno occupano la mente e le braccia di questo governo giorno e notte nessuna ora esclusa.
Bisogna dire con chiarezza che il futuro non è fatto di frattaglie assortite tra flat tax, tetto elevato al contante, pensioni minime, un aiutino di qua e un aiutino di là, ma piuttosto la capacità di fare investimenti pubblici che ne mobilitano altrettanti di privati e attraggano capitali internazionali. Anzi, serve anche qualcosa di più, bisogna dire con altrettanta chiarezza che i dieci punti di Pil legati ai 190 miliardi europei del Pnrr e al moltiplicatore potenziale degli oltre 100 miliardi di fondi di coesione e sviluppo questo governo è in grado di farli e, soprattutto, vuole e sa farli dove vanno fatti e, cioè, nel Mezzogiorno.
Perché qui questa montagna di soldi, dagli asili nido all’alta velocità ferroviaria fino ai Borghi culturali e al capitale umano, sono stati assegnati e banditi da una visione di progetto Paese di medio termine che ha posto al centro della sua azione la riunificazione delle due Italie e che incrocia un mandato europeo non negoziabile né emendabile. Perché l’Europa ha dato tutti questi soldi all’Italia perché risolva il più grande problema europeo che è l’unico squilibrio territoriale sopravvissuto a tutto e a tutti che è quello italiano.
Soprattutto davanti a una stagione di solito rumore mediatico che inevitabilmente scatterà per un intervento di riduzione di appena 700 milioni su una spesa di circa 9 miliardi qual è quello ipotizzato nel 2023 per una platea ristretta di fruitori del reddito di cittadinanza, questo messaggio di priorità assoluta agli investimenti pubblici e privati nel Mezzogiorno che devono creare lavoro vero va stressato e nutrito di scelte coerenti sul piano degli strumenti operativi.
L’effetto annuncio in economia è importante perché è una frustata di entusiasmo che rivela consapevolezza e determinazione nell’affrontare il problema centrale per lo sviluppo del Paese intero e nello sfruttare l’occasione storica del nuovo quadro geopolitico che consente all’Italia, grazie al suo Mezzogiorno, di diventare la piattaforma dell’internalizzazione europea della manifattura tedesca e di essere la porta di accesso alle nuovi fonti di approvvigionamento energetico per l’intera Europa.
Comprendiamo l’accortezza di Giorgia Meloni di non svegliare gli appetiti delle lobby che sonnecchiano e dei suoi alleati di governo che avrebbero sempre qualche progetto propagandistico da fare finanziare al posto degli investimenti produttivi se si parlasse troppo spesso di questa montagna di soldi. Purtroppo, però, la realtà non consente di fare finta di niente. Così come si può e si deve accompagnare l’uscita degli abili al lavoro dal sussidio del reddito di cittadinanza con corsi di formazione, ma a patto che sia chiaro a tutti che se affidiamo questa missione alle agenzie regionali per l’impiego delle persone ci stiamo semplicemente prendendo in giro.
Voglio dire che il tempo della tattica è finito e il coraggio che serve ora è quello della ricomposizione della spesa tra consumi e investimenti mettendo questi ultimi in cima all’agenda del governo e evitando di ripetere che le amministrazioni del Sud non hanno le risorse umane per fare le cose. Chi governa deve risolvere i problemi non esporli. Deve aprire i cantieri nel Mezzogiorno non constatare che è impossibile e trasferire quelle stesse risorse sui progetti già in itinere di altri territori. No, questo non si può fare. Anche se le colpe vengono da lontano e sono di altri. L’occasione è di ora e le risposte vanno date ora.
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