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Mario Draghi saluta Recep Tayyip Erdogan ad Ankara

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Non può a sfuggire a nessuno il peso dell’alleanza con la Turchia per costruire la pace, sbloccare il grano per l’Africa e consolidare una leadership italiana nel Mediterrano che porti alla stabilizzazione della Libia e garantisca al nostro Mezzogiorno e, per suo tramite, all’Europa l’hub energetico di cui ha vitale bisogno. Il punto di oggi è che questo Paese che ha fatto e sta facendo miracoli, dall’edilizia al turismo fino alle esportazioni e al credito politico internazionale, deve fare i conti in casa con il sindaco di Melendugno che ripete senza vergogna che oggi come allora dice no al gasdotto della Tap in Puglia, l’insurrezione a Piombino contro il rigassificatore, e la protesta dei tassisti italiani che scendono in piazza perché hanno un’idea della concorrenza incompatibile con la loro modernizzazione e con il futuro del Paese. Questa Italia e i loro protettori politici fanno crescere il rischio del Paese e impongono a tutti la tassa dei loro privilegi. Che è quella che da venti anni blocca la crescita italiana allargando il solco delle diseguaglianze territoriali. Insopportabile. Anche perché il rischio che l’incendio inflazionistico mondiale e l’economia di guerra distruggano con le loro fiamme il nuovo boom italiano va scongiurato agendo soprattutto a livello europeo, ma la sola idea che il cerino che accende il falò populista che può mettere a rischio il nuovo boom italiano sia fabbricato in casa lascia semplicemente sgomenti.

L’EURO scivola sotto i minimi da vent’anni rispetto al dollaro e i mercati scommettono sulla nuova recessione europea. Piove sul bagnato con il prezzo del gas che arriva fino a 175 dollari. La Germania vuole salvare con gli aiuti di Stato la sua compagnia del gas Uniper che ha un buco di 11 miliardi, ha la bilancia commerciale in rosso che è una notizia storica e viaggia a un ritmo di crescita che è sotto la metà di quello italiano. Le Borse sono in rosso stabile e non bucano più a causa della terribile assuefazione.

È difficile in un quadro globale così denso di incertezze quando la guerra diventa lunga e la pandemia rialza la testa prendere atto che l’Italia è il Paese europeo che se la sta cavando meglio. Eppure è proprio la medicina che serve non per liberare l’Italia dai fardelli del mondo che sono tutti concentrati sul secondo semestre dell’anno, ma per preservare quel tasso di fiducia interno e di politica internazionale che sta facendo la differenza tra noi e gli altri. Anche per rendersi conto che l’inflazione europea è molto più energetica di quella americana e che la Banca centrale europea (Bce) per combattere il mostro inflazione, non per fare un piacere ai Paesi del Sud Europa, deve verificare che la trasmissione della sua nuova politica monetaria avvenga in modo uniforme evitando che sia ingiustificatamente più che proporzionata per il BTp italiano rispetto al Bund tedesco. Anche perché parliamo di un cambio di rotta dopo dieci anni e fare figli e figliastri non è tollerabile, oltre che dannoso rispetto al conseguimento dell’obiettivo prefissato.

Bisogna rendersi conto che un Recovery energetico europeo serve alla Germania quanto all’Italia e non potrà non arrivare. Bisogna che la Bce stampi moneta per pagare nel breve termine la differenza che imprese e famiglie europee pagano per un extracosto energetico di origine bellica putiniana di cui non hanno nessuna responsabilità. Così come bisogna che l’Europa torni a fare debito comune per supplire subito a quello che eventualmente non fa la Bce e, di sicuro, per finanziare le infrastrutture di cui l’Europa si deve dotare per essere nel medio termine realmente indipendente in un mondo che va verso la deglobalizzazione e in cui i tempi della guerra russa in Ucraina non appaiono più controllabili.

Diciamo le cose come stanno. Con una  bolletta energetica che rincara di 90 miliardi crescere di oltre il 3% non è un dato che possa essere sottovalutato. Sono dati migliori di quelli americani e francesi che permettono di totalizzare una crescita italiana di quasi il 10% nei due anni peggiori della storia del mondo. Avere i fondamentali a posto con la migliore posizione finanziaria netta sull’estero dopo la Germania con un più 7%, contro i meno 30% e passa di Francia, i meno 70% della Spagna e i meno 90% e passa del Portogallo e peggio ancora della Grecia, significa indubbiamente che si è lavorato bene. Significa avere surplus commerciali come quelli italiani che come quelli tedeschi sono ora, solo ora, “mangiati” dalla bolletta energetica, ma fanno in proporzione faville rispetto a Francia, Spagna e così via. 

Per capirci, da gennaio a maggio, rispetto allo stesso periodo del 2021 le esportazioni italiane sono cresciute del 20,1% mettendo a segno performance di tutto rilievo soprattutto negli Stati Uniti, nei Paesi Opec, in Turchia, Regno Unito e Svizzera. Nei dati reali, non nelle previsioni rivelatesi tutte errate, anche quelle dei centri studi delle stesse imprese, nel solo mese di aprile la produzione industriale è cresciuta dell’1,6% contro un consensus iniziale che pronosticava addirittura un meno 2,6%.

Abbiamo dormito per anni ma negare che l’Italia è il Paese che con maggiori risultati ha perseguito a 360 gradi una politica di diversificazione degli approvvigionamenti energetici per affrancarsi dalla dipendenza russa è praticamente impossibile. La presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, ieri in Mozambico, come l’azione precedentemente svolta in modo previggente in Azerbaigian e in molti altri luoghi strategici del nuovo mondo, e le intese a tutto campo chiuse ieri da Draghi e Erdogan nell’intergovernativo Italia-Turchia con uno squadrone di ministri al seguito, segnalano la forza politica e commerciale della politica estera italiana.  Che, nelle parole di Draghi, alla presenza di Erdogan, riesce a fare riconoscere alla Turchia la condanna dell’invasione russa in Ucraina che non è un dato politico da poco, anche se si è fatto molto di più. Si sono consolidate le basi di un’azione comune per sbloccare entro dieci giorni più corridoi che consentano ai carichi di grano ucraini di partire dal Mar Nero e dare una risposta effettiva contro il rischio più grande di tutti che è la carestia del popolo africano.

Non può a sfuggire a nessuno il peso di questa alleanza per una leadership italiana nel Mediterraneo che porti alla stabilizzazione della Libia e garantisca al nostro Mezzogiorno e, per suo tramite, all’Europa l’hub energetico di cui ha vitale bisogno alla luce del nuovo ordine mondiale che seguirà,  nei fatti, la stagione del dominio russo dello zar Putin. Se si pensa che si era partiti con Draghi che dava del dittatore a Erdogan, mi pare che di strada se ne sia fatta tanta. Soprattutto, si vedono i segni del grande piano italiano sulle materie prime energetiche e agricole che uomini del calibro di Mattei e Ferruzzi posero in atto nel Dopoguerra italiano dove pubblico e privato seguivano un’unica regia che arrivava a fare investimenti fino alla bocca del Mississipi.

Il punto di oggi è, capiamoci, che questo Paese che ha fatto e sta facendo miracoli, dall’edilizia al turismo fino alle esportazioni, che ha il doppio tasso di fiducia interno e di politica internazionale più elevati in Europa perché persegue il suo cammino riformista, deve fare i conti in casa con il sindaco di Melendugno che ripete senza vergogna che oggi come allora dice no al gasdotto della Tap in Puglia, l’insurrezione a Piombino contro il rigassificatore, e la protesta di 48 ore dei tassisti italiani che scendono in piazza oggi come ai tempi di Bersani perché hanno un’idea della concorrenza incompatibile con la loro modernizzazione e con il futuro del Paese.  Che, addirittura, non rinunciano alle prove di forza sotto Palazzo Chigi.

Questa Italia e i loro protettori politici sono quelli che possono fare crescere il rischio politico del Paese e imporre a tutti la tassa dei loro privilegi. Che è esattamente quella che da venti anni blocca la crescita italiana allargando il solco delle diseguaglianze territoriali. Insopportabile. Anche perché il rischio che l’incendio inflazionistico mondiale e l’economia di guerra che ne consegue distruggano con le loro fiamme il nuovo boom italiano va scongiurato agendo soprattutto a livello europeo, ma la sola idea che il cerino che accende il falò populista che può mettere a rischio il nuovo boom italiano sia fabbricato in casa lascia semplicemente sgomenti.

Le cose straordinarie fatte e la difficoltà altrettanto straordinaria del contesto globale non permettono più questi giochetti demagogici della politica sovranista all’italiana.


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Alessandro Chiappetta

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