Sergio Mattarella e Mario Draghi
6 minuti per la letturaLa gente vota meno perché ha meno fiducia nei partiti del rumore e quando vota sceglie prima di tutto la persona per competenza ed esperienza. Si cerca il nuovo competente a Napoli (Manfredi) o l’usato sicuro (Occhiuto in Calabria, Sala a Milano, Lepore a Bologna). Sanno che solo così si può avviare l’uscita dai disastri cumulati della degenerazione partitocratica segnata dalla cultura degli amici degli amici e dell’imbarazzante carico di ritardi e di inefficienze prodotto dalla classe politica grillina e sovranista che simboleggiano quel mondo dell’irrealtà che ha dato il colpo finale alla caduta economica e sociale del Paese
Stiamo uscendo dal mondo della irrealtà. La gente vota meno perché ha meno fiducia nei partiti del rumore e quando vota sceglie prima di tutto la persona. Che vale più del partito e della coalizione che lo esprime. Potremmo dire che è il modello tedesco dove un milione e mezzo di elettori della CDU/CSU ha votato il socialdemocratico Olaf Scholz come successore della cancelliera Merkel che è della CDU/CSU. Lo ha fatto semplicemente perché ritiene che Scholz possa continuare nel solco della Merkel meglio del candidato designato dallo stesso partito della Merkel. Quindi l’uomo viene prima del partito.
In Italia, però, riteniamo che prevalga ancora di più inequivocabilmente il cambiamento in atto nel Paese determinato dal governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi che è il motore propulsore dell’uscita dell’Italia dal mondo della irrealtà. Siamo il primo Paese al mondo per numero di vaccinati in proporzione alla popolazione. Siamo l’economia europea che cresce di più dopo venti anni di crescita zero e un podio consolidato da fanalino di coda in Europa. Sono i risultati di una guida di governo che conduce con mano ferma la riapertura della nostra economia e, soprattutto, accompagna questo processo con una spinta riformatrice a 360 gradi e di rinnovamento della macchina pubblica centrale e locale come non si era mai visto.
Questo è il punto di fondo del cambiamento in atto nel Paese che coniuga giustizia e amministrazioni da rigenerare con capacità effettiva di fare investimenti pubblici e di mobilitare in casa e attrarre dal mondo investimenti privati. Questo è anche il fulcro della coerenza meridionalista degasperiana di un governo che è consapevole che senza riunificare le due Italie e senza colmare le disparità generazionali e di genere non potrà trasformare un rimbalzone del prodotto interno lordo (Pil) del 6% in una crescita stabile, sostenibile, equa, inclusiva.
Per raggiungere questo obiettivo serve una classe di amministratori sul territorio capaci di fare buoni progetti e di attuarli nei tempi prestabiliti perché nelle loro mani ci sono 60 dei 200 miliardi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che sono frutto di un’Europa che per la prima volta sceglie di fare debito comune (Next Generation Eu) e mette al centro Italia e Spagna come destinatari privilegiati del proprio programma straordinario di investimenti. Abbiamo sostenuto per mesi in assoluta solitudine che la fiducia contagiosa determinata dal governo Draghi assomiglia a quella che i governi centristi degasperiani alimentarono con la prima ricostruzione.
Abbiamo sostenuto che il dibattito della pubblica opinione avrebbe dovuto inevitabilmente cambiare nonostante un resistentissimo supertalk estate-inverno che è con la testa e con i piedi piantati nel mondo dell’irrealtà che ha portato il Paese sull’orlo del baratro argentino ma ha rischiato anche di farcelo addirittura precipitare dentro.
Diciamo le cose come stanno. Prima di loro sono arrivati gli italiani. Che invece hanno capito tutto e scelgono il capitale umano migliore per competenza e esperienza disponibile sul mercato. Perché vogliono che la Nuova Ricostruzione voluta da Mattarella e Draghi diventi realtà. Perché sanno che solo facendo guidare la loro scelta elettorale da questi requisiti possono sperare che non si ripeta lo storico suicidio italiano dello spreco sistemico delle risorse europee.
Sanno che solo così si può avviare finalmente l’uscita dai disastri cumulati della degenerazione partitocratica segnata dalla cultura degli amici degli amici e dell’imbarazzante carico di ritardi e di inefficienze prodotto dalla classe politica grillina e sovranista che simboleggiano quel mondo dell’irrealtà che ha dato il colpo finale alla caduta economica e sociale del Paese.
Questa è la lezione politica che viene dalla tornata delle amministrative di ieri. Il plebiscito per Gaetano Manfredi a Napoli appartiene da tutti i punti di vista a questo tipo di ragionamenti. I napoletani hanno votato il migliore rettore della loro università, l’eccellente ministro della ricerca, e il pragmatismo competente di un ingegnere di qualità. Che cosa dire della messe di voti a Carlo Calenda a Roma che totalizza numeri da grande partito senza averne uno vero alle spalle?
Vuol dire che i cittadini chiedono disperatamente buona amministrazione e non ne possono più del trionfo insistito della incompetenza ostinatamene rivendicato da Virginia Raggi dei Cinque stelle? Perché a Torino Lo Russo (centro sinistra) e Damilano (centrodestra) si dividono i consensi e vanno al ballottaggio nel segno del ritorno alla buona amministrazione dopo il nulla nefasto della amministrazione Appendino che vede giustamente i Cinque stelle ridotti in briciole? Che cosa dire della scelta di Occhiuto alla guida della Regione Calabria dove gli elettori scelgono l’unica figura di rilievo nazionale in campo e che rappresenta il punto massimo di incontro possibile tra leadership politica e capacità di cambiare totalmente in una regione dove è obbligatorio che ciò avvenga?
L’improvvisazione delle scelte del Pd ha spaventato gli elettori e l’inevitabile effetto Lucano, per la evidentissima abnormità della sentenza di condanna subita, ha portato messe di voti allo schieramento di De Magistris ma non è stato tale da superare lo scetticismo di tanti sul fatto oggettivo che il sindaco della “bancarotta” di Napoli potesse essere la bandiera della rinascita della Calabria. Potremmo continuare, ma ci fermiamo qui.
Questo voto ci dice che il vento del sovranismo e del populismo non soffia più nelle vele degli italiani. Che vogliono invece credere nella nuova Ricostruzione impersonificata da Draghi e dal suo governo di unità nazionale. Gli italiani dimostrano di capire che le grandi città sono in termini di consumi e di investimenti il cuore della sfida della rinascita del Paese. Cercano il nuovo competente (Manfredi) o l’usato sicuro (Occhiuto in Calabria, Sala a Milano, Lepore a Bologna). Noi abbiamo detto prima del voto agli elettori di essere pienamente consapevoli di scegliere, soprattuto in Calabria, Campania, Puglia e Basilicata, donne e uomini in grado di gestire e, quindi, capaci di rinnovare la macchina amministrativa perché l’utilizzo dei fondi del Recovery plan è l’ultima occasione storica che il Paese ha per ripartire riavviando il motore del Mezzogiorno. Si tratta di fare in due o tre anni quello che i capi delle regioni del Mezzogiorno non sono stati capaci di fare nemmeno per un decimo in un tempo almeno quattro volte superiore. Chiediamo a Occhiuto di fare appello alle migliori intelligenze della Calabria. Devono tutte insieme fare blocco per non sprecare la grande occasione. Se si rendono conto che non sono in grado di fare le cose chiedano subito aiuto perché non potranno più dire dopo, come sempre, “non abbiamo gli uomini giusti”.
Bussino ora alla Cassa depositi e prestiti per farsi assistere nei progetti e chiedano in prestito ora dall’Università della Calabria i suoi informatici che sono i primi in Italia. Non continuino a tacere per non disturbare i potentati burocratici delle piccole e grandi amministrazioni calabresi perché il cattivo non può continuare a bloccare il buono. Si ricordino Occhiuto e i nuovi sindaci della Calabria che devono agire ora, non lamentarsi dopo ripetendo a ragione o a torto che non hanno gli uomini. Non potranno più dirlo quando i buoi saranno scappati dalle stalle. Parlino ora o tacciano per sempre.
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