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Non sappiamo che cosa pensi di nessun progetto di riforma della Banca mondiale o del Fondo monetario. Non sappiamo che posizione prenderà al G20 e non è mai stata citata da Modi in un discorso sul mondo di 40 minuti. L’Europa parla solo di aggiustamenti anche sul Pnrr dove l’innovazione di futuro comune è salvaguardata dalla proposta italiana del ministro Fitto. Anche sul nuovo Patto europeo niente all’altezza delle sfide del momento. Draghi, da noi evocato come il nuovo Delors, ha detto le cose di respiro europeo e mondiale che andavano dette, penosamente lette dai media italiani solo in chiave di politica interna. Si tratta di attuare il sogno degli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli.
A BRUXELLES non fanno più niente, Ursula von der Leyen lavora solo per la sua riconferma. Siamo davanti a una specie di tregua pre-elettorale dove non si discute di nessun progetto innovativo, ma solo di aggiustamenti. Se uno è stato fedele al vecchio bilancio o al nuovo, se il decimale è stato rispettato o no. Si parla di scalette dei vari Piani nazionali di ripresa e di resilienza (Pnrr) dei singoli Paesi. Si parla dei primi come dei secondi con il solito nefasto piglio ragionieristico. Non si parla mai del futuro che è già presente, anzi passato prossimo colpevolmente ignorato. Vuol dire, per capirci, che non sappiamo che cosa pensi l’Europa di nessun progetto di riforma della Banca mondiale o del Fondo monetario, che cosa pensa di quello degli altri e se ne ha in mente almeno uno di suo.
Non sappiamo, dunque, che posizione prenderà l’Europa al G 20 per la semplice ragione che non esiste e guarda al passato. Anzi, dà addirittura al mondo intero la sensazione di lavorare più o meno consapevolmente per preparare un altro anno e mezzo di paralisi perché nessuno può toccare nulla. A Bruxelles si continua a discutere di passato anche quando si discute di Pnrr che rappresenta un embrione importante non solo di debito comune, ma anche di futuro condiviso.
Sul Pnrr la discussione principale è se viene rimaneggiato o no quasi fosse un totem. Qui l’innovazione più consistente che appartiene al futuro comune da costruire è venuta proprio dall’Italia e dal ministro Fitto, ma di questa visione che appartiene alle grandi stagioni dei Pescatore e dei Menichella e che si fa tanta fatica a capire in Italia parleremo in un articolo a parte. Anche quando si parla di nuovo patto di stabilità e crescita, si fa strada ogni tanto qualche timido mutamento con rigurgiti immediati di passato nerissimo, ma non si avverte mai nella discussione nessun respiro all’altezza delle sfide globali che abbiamo davanti e alla drammaticità del momento che viviamo. Narendra Modi, primo ministro dell’India e presidente del G 20, ha fatto un discorso sul mondo di 40 minuiti e non ha mai citato l’Europa. Mi pare che basti e avanzi per capire qual è la gravità del problema che abbiamo davanti e evitare con gli attacchi al commissario economico Gentiloni indebolimenti strategici e tattici della posizione italiana già di suo debole dentro una più vasta debolezza europea.
Draghi, da noi evocato il giorno prima come il nuovo Delors, ha scritto in un articolo sull’Economist le cose di respiro europeo e mondiale che andavano dette, ovviamente penosamente lette dai media italiani solo in chiave di politica interna. Servono nuove regole fiscali comuni e flessibili e una maggiore sovranità condivisa. Il patto di stabilità e crescita europeo è troppo rigido. È figlio della zoppìa di cui parlava Ciampi una vita fa quando voleva dire che si era persa la crescita. O, se volete, espressione della stupidità come lo definì Prodi con una di quelle sue battute fulminanti che dicono tutto con una parola e che tutti capiscono. Tornare a quel patto anche solo per qualche giorno vorrebbe dire tornare al peggio assoluto e alle ragioni del nostro ritardo di oggi.
Il guanto di sfida gettato all’Europa dai Brics – Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa – allargati a economie fallite come quella argentina e ad autocrazie-dittature ricche di petrolio e soldi come Iran e Arabia Saudita, significa una cosa prima di ogni altra. Attenzione, Europa, attenzione Occidente, attenzione America, attenzione Paesi europei, non siete più quelli che ci avete conquistato secoli fa, è cambiato tutto e cominciate a prenderne coscienza. In questo contesto l’Europa invece di inseguire un passato che non esiste più, deve programmare un futuro inserito in un mondo diverso. Questo è il vero problema della rivoluzione culturale. Si tratta almeno di capire che non puoi più semplicemente fare il nobile decaduto, ma devi urgentemente rimboccarti le maniche e trovarti il nuovo ruolo. Qui si innesta il richiamo forte a nuove regole fiscali comuni e flessibili e a un nuovo processo decisionale. Il vecchio sistema che una volta si chiamava il “concerto europeo” e che era un accordo tra Stati sovranisti che per lungo tempo ha consentito all’Europa di conquistare mezzo mondo, ebbene questo orizzonte oggi non esiste più. Il nuovo orizzonte è da inventare, bisogna mettersi a studiarlo nei dettagli e cominciare ad attuarlo.
Bisogna partire dalle nuove regole fiscali comuni e flessibili seguendo la rotta tracciata da Draghi. Che ha nell’idea guida, non di oggi, di un soggetto unitario che agisce sul piano economico, di politica estera e di difesa in modo comune, privilegiando gli investimenti del futuro che creano ricchezza e benessere duraturi e riducono le diseguaglianze, il suo punto di forza. Esprime il senso profondo di una scelta di respiro di lungo termine all’altezza di quelle con cui l’Europa si deve giocoforza misurare se vuole tornare a esistere. Si tratta di inventarsi un nuovo patto che è in realtà vecchissimo. Perché è quello degli Stati Uniti d’Europa che era il sogno di Altiero Spinelli.
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