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Dal Sud al Nord, dalla coppola al doppiopetto, dalle riunioni “carbonare” con gli affiliati ai vertici aziendali: i tentacoli della mafia si allungano sull’intera Penisola e si radicano nel tessuto economico, soprattutto nelle regioni settentrionali. In occasione del 30° anniversario della Dia, la Direzione investiga antimafia, nata da un’idea di Giovanni Falcone, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, accende il faro su quello che non è più solo un “fenomeno” meridionale: le mafie hanno “conquistato” il Nord e i loro uomini hanno indossato la grisaglia e si sono fatti imprenditori. Ora ci sono anche i fondi del Pnrr si cui tentano di mettere le mani – dal Nord al Sud – e la sfida per lo Stato sale di livello.

«Rispetto a trent’anni fa, la mafia ha assunto forme nuove, ma altrettanto temibili», dice il premier intervenendo al convegno “Il ruolo della finanza nella lotta alla mafia», organizzato dalla Dia a Palazzo Pirelli, a Milano, alla presenza tra, gli altri, del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, del capo della Polizia, Lamberto Giannini e del direttore della Dia, Maurizio Vallone, di Maria Falcone, del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e del sindaco di Milano, Giuseppe Sala.

Accantonato lo stragismo e il terrorismo, ora, sottolinea il premier, le mafie «si insinuano nei consigli d’amministrazione, nelle aziende che conducono traffici illeciti, al Nord e nel Mezzogiorno. Inquinano il tessuto economico, dal settore immobiliare al commercio all’ingrosso. Controllano il territorio con la violenza, soffocano la libera concorrenza».

Draghi ricorda l’insegnamento del giudice Giovanni Falcone, di “seguire la traccia dei soldi”: «Dobbiamo continuare a farlo per proteggere l’economia italiana, i cittadini, le imprese».

E la traccia dei soldi porta nelle regioni settentrionali, dove ha esteso il suo raggio di attività: è la «mafia imprenditrice», come la chiama Draghi: «Le cosche, come quelle della ‘ndrangheta, si sono diffuse nel Nord Italia – in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Veneto, in Valle d’Aosta, in Trentino Aldo Adige. Si impossessa di aziende in difficoltà, si espande in nuovi settori, ricicla denaro sporco, rende inefficaci i servizi, danneggia l’ambiente. Per questo – afferma il premier – il contrasto alla criminalità organizzata non è solo necessario per la nostra sicurezza. È fondamentale per costruire una società più giusta».
Alle risorse pubbliche da sempre nel mirino della criminalità si aggiungono ora quelle europee del Recovery Fund. L’allerta del governo, e non solo, è altissima, assicura la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. «E’ un nuovo banco di prova – osserva – ma abbiamo tutti gli strumenti per impedire che le mani delle mafie possano allungarsi sulle risorse destinate alla ripresa del nostro Paese».

Il governo, dal canto suo, sottolinea il premier, «per proteggere i fondi del Pnrr» ha messo in campo procedure semplificate, migliorato il sistema di contrasto alle infiltrazioni, rafforzato i controlli. «Ampliamo gli strumenti a disposizione dei prefetti, come la prevenzione collaborativa, senza creare, però, nuovi ostacoli per le imprese». In gioco, sottolinea, c’è la difesa della «straordinaria opportunità che il Pnrr ci offre», ma anche «la nostra credibilità verso i cittadini e i partner europei».

Sulle risorse del Pnrr si fonda la speranza per lo sviluppo del Meridione dove le radici mafiose sono profondissime e difficili da estirpare. E sono la base dell’ambizione del governo Draghi di riavviare la convergenza tra le due Italie per spingere la crescita del Paese tutto. «La terza componente della strategia» di Giovanni Falcone contro la mafia, ricorda la sorella Maria, aveva al centro «un adeguato sviluppo del Mezzogiorno»: «Non l’abbiamo ancora realizzato», sottolinea. «Credo e spero che questi soldi che arriveranno con il piano europeo di aiuti all’Italia servano davvero a riscrivere la storia del nostro Mezzogiorno – aggiunge quindi -. Spero che questo flusso di denaro non si disperda in rivoli e rivoletti, che non finisca nelle mani dei mafiosi, ma che sia il potenziale necessario per creare lo sviluppo».

Intanto la battaglia contro la criminalità organizzata è ancora lunga. Lo ammette la ministra dell’Interno: «La mafia ha avuto in questi anni cocenti sconfitte, ma non è ancora vinta». Ne sottolinea la “nuova” «dimensione affaristica»: la presenza economica nel tessuto economico, evidenzia, si è fatta più aggressiva: «Le segnalazioni di operazioni sospette relative al periodo 2019-20 si aggiravano intorno al 12-15%, nel 2021 siamo già al 16%». Fabrizio Testa, ad di Borsa Italiana, stima in due punti di Pil italiano il volume d’affari legato alle attività illegali e ne rileva i danni sul sistema economico: «La presenza delle organizzazioni mafiose in un territorio – dice – ne mina lo sviluppo nel lungo periodo».

La potenza economica delle consorterie criminali, sostiene Lamorgese, «è anche conseguenza della globalizzazione dei mercati e della capacità di trasferire ricchezze illecite». Per questo è importante «costruire una risposta comune» sul piano internazionale fondata su «una omogeneità di regole e di comportamenti fra i vari Paesi».

«Le mafie hanno riconvertito le loro organizzazioni strutturandosi come vere e proprie multinazionali con sedi in ogni parte del mondo – spiega il capo della Polizia, Lamberto Giannini – Il traffico di stupefacenti le ha arricchite in modo inimmaginabile, sfruttando la globalizzazione della finanza: hanno letto il cambiamento dei tempi. Sono le nuove frontiere del crimine». La crisi economica scatenata dalla pandemia ha creato nuove occasioni di business sulla pelle degli imprenditori in difficoltà: «Ha aggiunto ulteriori difficoltà all’esercizio della libertà delle imprese – dice Giannini – Le nostre imprese sono a rischio di essere aggredite dalle mafie non solo attraverso i metodi coercitivi ma in maniera più subdola», ad esempio «con il finanziamento a tassi usurai». Anche per questo, ha affermato, «dobbiamo agire con forza, seguendo il solco tracciato dalla straordinaria visione di Giovanni Falcone e di altri colleghi che hanno pagato con la propria vita».


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